Cronache

Vietato citare i comunisti sulle foibe titine

Vietato citare i comunisti sulle foibe titine

Milano Vietato dire che erano comunisti. A 78 anni di distanza dal martirio di don Angelo Tarticchio - il parroco di Villa di Rovigno che fu torturato, evirato e gettato vivo in una foiba - non si può scrivere che i suoi aguzzini erano i «comunisti jugoslavi di Tito». Qualcuno non gradisce.

«Noi crediamo di poter usare le parole col loro vero significato, invece ancor oggi ci è permesso scrivere solo ciò che vogliono» riflette il nipote di don Angelo, Piero Tarticchio, 85 anni, alla vigilia della cerimonia fissata per scoprire la targa che il Municipio 2 di Milano e la comunità degli esuli hanno voluto dedicare a un autentico martire cristiano e italiano, ucciso ferocemente per la sola veste sacra che portava, nel settembre del '43.

Don Angelo fu prelevato da un manipolo di titini. Dopo una notte da incubo in un cascinale, fu gettato in una cava di bauxite. «I pompieri di Pola - scrive Piero - recuperarono la salma. Don Angelo era completamente nudo, con il corpo martoriato, i genitali tagliati e conficcati in gola. Sulla testa portava ancora una corona di filo di ferro spinato, in spregio alla sua figura di ministro della fede».

«Sacerdote istriano infoibato dai comunisti jugoslavi di Tito». Così recitava la targa da scoprire. Ma gli uffici hanno fatto sapere che non va bene. «Il Comune vuole cambiarla - spiega Piero - Purtroppo ci sono cose che si possono dire e altre che si devono tacere. Il riferimento ai comunisti bisogna toglierlo e sostituirlo con miliziani, ma non mi sembra che Tito avesse una milizia».

La targa è impreziosita da una citazione tratta dal libro che Piero sta preparando sulla sua storia, la storia di una famiglia che ha avuto sette infoibati, fra cui suo padre. «Avevo 7 anni quando assistetti al funerale di don Angelo» scrive Piero, che ancora ricorda il rosario della nonna e le voci origliate dalla sua stanza la notte. E il funerale: «La chiesa era gremita. Ricordo un grande catafalco nero con sopra la bara di don Angelo ricoperta di fiori. Ricordo mio padre che mi stringeva la mano e non poteva immaginare che 20 mesi dopo avrebbe fatto la stessa fine». E nessuno poteva immaginare che quasi 80 anni dopo la verità avrebbe fatto ancora così paura.

«La sola ipotesi che non permettano la posa della targa - commenta il presidente del Municipio 2 Samuele Piscina (Lega) - sa di censura e fa rivivere il martirio di don Angelo alla sua famiglia. È già assurdo che per vie traverse mi fossero arrivate richieste di modificare la targa. Come nelle lapidi dei partigiani c'è scritto uccisi da nazisti, allo stesso modo è giusto scrivere cosa furono le foibe e chi le volle.

Comunque, il Municipio era andato incontro a queste richieste, ma la possibilità che possano fermare l'iniziativa solo per motivi ideologici e di negazionismo non solo mi urta ma mi preoccupa per il futuro».

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