Cronache

Una vita di corsa tra soldi, lusso e sesso estremo

I siti web e l'assegno da 100 milioni incassato. Ma c'era chi non si fidava di lui

Una vita di corsa tra soldi, lusso e sesso estremo

Alla fine, il suo modello era chiaro: Christian Grey, il protagonista di «Cinquanta sfumature di grigio», il businessman di successo con una porta aperta verso le frontiere più estreme del sesso. Da chi, se non da Grey, poteva avere tratto l'ispirazione per la camera oscura in cui conduceva le sue prede, nella «Terrazza sentimento» arredata di legacci e telecamere? Ma Grey era Grey. E lui invece è solo Alberto Genovese da Napoli, campano di belle speranze approdato a Milano agli albori del nuovo millennio, in tempo per scoprire che a un ragazzo sveglio come lui la metropoli del nord poteva offrire speranze, opportunità, quattrini, ragazze. E guai.

Chi lo ha conosciuto ai corsi di economia aziendale in Bocconi racconta che già si vedeva in lui la marcia in più, la voglia e la capacità di farsi largo in fretta. Ma nulla che facesse presagire che nel giro di quindici anni si sarebbe messo in tasca un assegno da cento milioni di euro, roba da far perdere la bussola a molti. Accade nel 2015 quando vende a un fondo di investimento la sua start up. Anche il primo sito di Genovese, come tanti della sua generazione, campa in qualche modo del lavoro altrui: perché la sua intuizione è geniale, vendere assicurazioni senza rischiare niente, perché in realtà lui non assicura nulla, si limita a colpi di software a mettere in fila le offerte altrui. E ogni volta che un cliente sceglie, lui incassa. Come i siti per ristoranti, alberghi, biglietti aerei, i tanti parassiti della new economy. Quando nell'aprile scorso lo intervista Forbes, privilegio riservato a quelli che c'è l'hanno fatta, non a caso lo definisce un «digital raptor». E a lui quella definizione deve essere piaciuta un sacco. Nel frattempo non è stato con le mani in mano, ha già inventato altre quattro o cinque aziende, una assicura, una vende auto usate, la sua ricetta è sempre la stessa: «Individuare settori con alti margini dove le aziende dominanti sono ferme agli anni Novanta ed entrare con la tecnologia per creare valore».

Dal suo quartiere generale accanto a piazza Cordusio, nel cuore di Milano, si gode il successo sparando cifre iperboliche, «ho creato valore per un miliardo di euro», «dò lavoro a 1.200 persone», «ho attirato capitali per 160 milioni di euro». Ormai considera se stesso un brand, mette la sua faccia sugli annunci pubblicitari, «in qualche modo divento una garanzia sulla scalabilità del progetto». E in effetti anche sulla sua ultima creatura, prima.it, piovono i soldi dei fondi di investimento. A dire il vero la Milano che gli sta intorno, quella che ha assistito alla sua travolgente ascesa, continua a non fidarsi troppo di lui: «Mi sarei aspettato che il mio telefono suonasse più spesso», ammette lui a malincuore. Ma in fondo che importa? I quattrini sembrano sgorgargli intorno, inarrestabili.

Lui incassa, e si autodipinge come una sorta di malato di lavoro, un workaholic incapace di fermarsi. Anche quando si vanta di avere visitato, ad appena 43 anni, metà dei paesi del mondo, lascia capire che in fondo era in giro per affari.

E chissà se anche quella stanza oscura, dove il sesso estremo diventava perversione e violenza, la raccontava a se stesso come un corollario del trionfo.

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