La voce di Sinwar a capo di un battaglione

Questo era il reporter al Sharif, che certo raccontava quello che vedeva attraverso questi occhiali, quelli della strage e del terrorismo non solo narrato, ma condiviso anche nella pratica

La voce di Sinwar a capo di un battaglione
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I giornalisti che insistono sul fatto che Anas al Sharif sia una vittima dell'aggressività dell'Idf, che fosse anzi un professionista che praticava con coscienza e passione il dovere di informare e che ha avuto il merito di mostrare al mondo come stanno veramente le cose a Gaza, cioè un inferno creato dalla crudeltà di Israele, e non dalla schiavitù nazista in cui la popolazione affamata e usata come scudo umano da Hamas, non fa un servizio alla professione. E mente. Anzi, ribadisce il sospetto che si accetti di aver visto Gaza attraverso uno schermo nero di odio antisemita, di un'interpretazione dei fatti di cui nella fattispecie, al Sharif era un rappresentante politico, pratico, armato, molto attivo.

Leggiamo cosa ha scritto sul 7 ottobre: entusiasta durante le stragi, le violenze, ancora tra bambini scannati e donne stuprate ha scritto "9 ore e gli eroi ancora conquistano il Paese (Israele invasa, ndr) uccidendo e catturando.. oh Dio! Quanto sei grande!". Questo era il reporter al Sharif, che certo raccontava quello che vedeva attraverso questi occhiali, quelli della strage e del terrorismo non solo narrato, ma condiviso anche nella pratica. Prima di colpirlo l'Idf ha raccolto una quantità di documenti, nomi, fatti, stipendi: al Sharif era il comandante del battaglione missilistico di Hamas a Jabaliah Est, responsabile degli attacchi contro i civili e l'esercito israeliano. I missili da Gaza sulla gente innocente dei kibbutz e della costa sono stati un'attività terroristica di primo piano, e Anas doveva esser molto bravo se lo mostrano intrinseco al movimento i vari selfie affettuosi con Sinwar e al Hayya, e anche un vero bacio del mostruoso capo che ha concepito l'eccidio del 7 ottobre e ha eliminato con le sue mani i suoi antagonisti. Pur di uccidere gli ebrei ha disegnato senza pietà il sacrificio del suo popolo, e Anas sembra nelle foto un virgulto preferito, un leader giovane che infatti ha partecipato, come per altro altri giornalisti scoperti sul fatto, anche all'incursione stragista del 7 ottobre. Una nukba, ne più ne meno. Una sua foto intrisa di emozione partecipativa lo mostra in quel giorno mentre esulta coi suoi colleghi di Hamas che prendono un carro armato, in pieno scontro.

Come giornalista si può considerare un faro per i tanti che durante tutta la guerra di Gaza l'hanno intessuta di odio per criminalizzare Israele, hanno esaltato i dati unilaterali e fasulli forniti dai palestinesi, hanno indotto i miti di carestia causata da Israele e non da Hamas che rubava le tonnellate di aiuti, hanno introdotto il concetto di genocidio, il più orribile fra i rovesciamenti della verità caricati su Israele, nel tentativo di ridisegnarlo nel ruolo di aggressore cancellando il 7 ottobre. Se quello di al Sharif era giornalismo, allora Israele ha colpito un giornalista.

Ed è triste pensare che le sue esternazioni fossero seguite da 564mila follower su X e 1,6 milione su Instagram. Folle enormi, milioni esposti ai pensieri del discepolo e soldato del macellaio nazista Sinwar ora piangono la morte e accusano Israele di aver ucciso un giornalista. Questo è divenuto il giornalismo oggi?

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