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I soldati italiani: "Siamo nel mirino"

Le voci dal fronte di Baghdad: «Qui il clima è molto teso, a Erbil la situazione è più tranquilla» Timori anche in Afghanistan: «È il nostro lavoro, conosciamo i rischi Ma le famiglie stiano tranquille»

Foto d'archivio
Foto d'archivio

C'è preoccupazione tra i 5.560 militari italiani impegnati in missione di pace all'estero dopo l'uccisione del comandante delle Forze speciali dei Pasdaran iraniani, generale Qassem Soleimani. Il rischio è, soprattutto, quello di ritorsioni e attacchi terroristici. Tanto che i servizi di tutto il mondo già monitorano i siti internet di ambienti vicini a Teheran. L'altro ieri il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha deciso l'innalzamento delle misure di sicurezza dei contingenti dove operano i soldati italiani, predisponendo la limitazione al minimo degli spostamenti al di fuori delle basi.

«I problemi maggiori - racconta un militare impegnato nell'operazione Prima Parthica in Irak - li abbiamo a Baghdad, dove il clima è molto teso. A Erbil, invece, la questione si sente solo di riflesso, anche se ogni tipo di misura di tutela è stato preso». I controlli sono stati notevolmente intensificati e per verificare strani movimenti e situazioni sospette si usano i Predator, aerei a pilotaggio remoto in grado di filmare e fotografare il terreno dall'alto. Ma fondamentali sono anche i contatti esterni, in grado di anticipare eventuali situazioni di rischio. Ciò nonostante Guerini ha chiarito che «le missioni continuano come programmate. Nelle procedure di sicurezza che sono state innalzate si è deciso di sospendere temporaneamente l'attività di addestramento delle forze irachene, che riprenderà appena le condizioni lo permetteranno». Intensificare i controlli è previsto in situazioni di questo tipo e viene fatto ordinariamente. «Non ci sono - ha detto poi il titolare della Difesa - elementi di preoccupazioni legati a evidenze particolari, però c'è una situazione di tensione che richiede da parte nostra che in tutte le nostre missioni vi sia l'innalzamento di queste misure». E ha confermato che non si pensa ad alcun disimpegno. Alcuni giorni fa proprio in visita al contingente italiano a Erbil aveva detto che, semmai, nel Decreto missioni si pensa a un potenziamento di alcuni contingenti.

Tra Irak e Kuwait abbiamo attualmente impegnati 926 militari, di cui circa 600 nel primo Paese. Ma anche in altri teatri in qualche modo collegati c'è tensione. In modo particolare in Afghanistan e Libano, dove operano rispettivamente 894 soldati dell'operazione Resolute Support e 1.254 della missione Unifil. «Anche qui a Herat - racconta un militare - non è che stiamo proprio tranquilli, visto ciò che è accaduto, ma è il nostro lavoro e sappiamo a che rischi possiamo andare incontro anche in situazioni in cui c'è un'allerta minima. C'è sicuramente più attenzione ed è stato deciso che usciamo meno e solo nei casi veramente necessari. Più che altro dobbiamo far fronte alla preoccupazione delle famiglie - spiega poi - che sono agitate, come si può pensare». Ma tiene a dire: «I nostri familiari a casa, però, devono sapere che nessuno di noi metterà mai a rischio la propria vita e che la Difesa e i nostri vertici seguono passo passo ciò che facciamo».

In Libano sembra tutto più tranquillo. «Nonostante le minacce di Hezbollah - chiarisce un soldato impiegato a Shama - abbiamo il massimo impegno delle Laf, le forze di sicurezza libanesi. Tutto procede nella massima calma e non c'è particolare agitazione. Anche qui, però, le misure sono stare elevate per precauzione. Credo che gli obiettivi più a rischio, in questo momento, siano quelli americani. Noi italiani siamo comunque visti come portatori di pace. E alle famiglie a casa vogliamo dire che stiano serene». La situazione di tensione si sente e i rischi sono sicuramente più alti rispetto a quelli del passato.

«Ma noi siamo qui - conclude un militare da Baghdad - per garantire stabilità e ci auguriamo che presto l'allerta cessi e possiamo riprendere a lavorare in serenità».

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