Mettere sotto accusa la Regione. Una voglia matta pulsa nelle viscere della sinistra milanese. Per ora è sottaciuta, circoscritta, ma cresce incontenibile, più forte di ogni parvenza di dignità istituzionale. Così, mentre la Lombardia è impegnata nella crisi più grave della sua storia, c'è chi non si accontenta di trascorrere le giornate fra critiche e polemiche inconcludenti. Vuole qualcosa di più. E il tam-tam monta: «Qualcuno pagherà?», «Si avvicina il tempo delle spiegazioni». I toni sono eccitati dalla gravità del momento, ma c'è dell'altro. Vecchi riflessi giustizialisti, lunghe frustrazioni politiche, un impasto di calcolo e tic ideologici induce a pensare che sia arrivato il momento della rivincita, e che debba essere colto. Inoltre, un attacco a testa bassa alla Regione - in una morsa che vede da un lato i sindaci Pd delle città e dall'altro qualche ministro - fornisce alibi alla carenze governative.
Il clima, a dire il vero, non è stato questo fin dall'inizio. Qualcosa è scattato. Forse nel momento in cui il governo - col decreto del 22 marzo - ha chiaramente rincorso la Lombardia, che un po' su tutto aveva aperto la strada. Attilio Fontana ha sempre chiesto di fare presto, di fare di più, sulle zone rosse e sulle mascherine, sulle chiusure e sugli ospedali. E se gli apparati governativi sentenziavano che fosse necessario un mese per allestire uno, la Lombardia ha aperto due ospedali in 10 giorni. E l'attacco a testa bassa è partito, avviato mediaticamente dalla campagna per i «tamponi a tappeto». I dubbi c'erano. Ma anche tacendo questi dubbi, esposti dalla Regione e confermati dagli esperti, resta il fatto che sono stati gli organismi governativi a dare e ribadire indicazioni restrittive, secondo le quali i tamponi dovevano essere eseguiti solo su pazienti con più sintomi. Eppure, si è arrivati al paradosso che più d'uno nel Pd ha accusato la Lombardia di aver obbedito al governo del Pd. E anche a fornire le mascherine, doveva provvedere la Protezione civile.
Probabilmente l'odio ideologico per la Lega supera l'amore per la propria terra. Così si spiega il caso di una sinistra che pretende un atteggiamento di lealtà istituzionale verso il governo (non impeccabile) di cui fa parte, lasciando poi che i suoi esponenti locali si scatenino in contestazioni pretestuose. Con tono aggressivo, dal Pd è arrivata anche la richiesta di sedute d'aula settimanali, tanto che il solitamente misurato presidente del Consiglio Alessandro Fermi ha detto «no a inutili sfogatoi». E l'ha scandito stupefatto, per una richiesta che contravveniva all'accordo concluso due giorni prima da tutti i capigruppo. Neanche i 5S sono arrivati a tanto. Ma resta, nell'opposizione, chi interpreta il suo ruolo consapevole del momento. Il consigliere di «Più Europa» Michele Usuelli, medico, conduce un'opposizione leale, con proposte e rilievi di merito.
E l'ultimo suo predecessore radicale, Alessandro Litta Modignani, ha riconosciuto saggiamente che «di fronte a una cosa come questa siamo tutti inadeguati, diciamolo senza strumentalizzazioni, lasciamo stare la politica in un momento come questo».
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