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Al voto 14 milioni di venezuelani per il referendum contro Maduro

Si oppongono alla Costituente che gli darebbe pieni poteri

Al voto 14 milioni di venezuelani per il referendum contro Maduro

«Il referendum di oggi è l'ultima occasione per evitare che il prossimo 30 luglio 2017 il Venezuela si trasformi in una dittatura come Cuba». È chiaro l'ex presidente della Bolivia Jorge «Tuto» Quiroga, da oggi a Caracas per supervisionare - con altri ex leader di Messico, Colombia e Costa Rica - il referendum convocato dall'opposizione venezuelana. Obiettivo del suffragio odierno è respingere con almeno 14 milioni di voti ovvero il 75% degli aventi diritto l'iniqua riforma costituzionale imposta per decreto e senza suffragio da Nicolás Maduro, il presidente più odiato della storia del Venezuela.

Già perché a meno di non volere una guerra civile fomentando l'insorgere di una resistenza armata - e se Maduro continua così sarà solo questione di tempo indire una Costituente «comunista e rivoluzionaria» per cambiare «alla cubana» la Magna Carta era l'ultima cosa che un presidente odiato come lui doveva fare. Una Costituente il cui unico obiettivo è redigere una Costituzione che consegni allo stato-partito chavista tutto, persino la distribuzione del cibo, oltre a chiudere seduta stante il Parlamento controllato dall'opposizione, sostituendolo con un'Assemblea «comunale» controllata al 100% dal partito di Maduro.

È dunque per evitare che il Paese diventi una dittatura a tutti gli effetti tra due settimane che oggi l'opposizione ha indetto questo referendum in cui si chiede a tutti i venezuelani se riconoscono o no la Costituente di Maduro. Un ultimo e disperato tentativo che però potrebbe non bastare, al pari del trasferimento nei giorni scorsi del leader oppositore Leopoldo López dal carcere ai domiciliari, per motivi umanitari come dichiarato da Maduro. Se davvero il delfino di Chávez avesse a cuore ragioni umanitarie, oggi a Caracas non ci sarebbero 431 prigionieri politici, gestito dal Sebin, i servizi segreti di regime, né sarebbero stati uccisi un centinaio di manifestanti da quando lo scorso 1 aprile sono iniziate le proteste di strada contro la decisione della Corte Suprema di togliere ogni potere al Parlamento. Poi la Costituente, che ora rischia di fare precipitare il Venezuela in una guerra civile. In un Paese ormai privo di tutto, la feroce repressione ordinata da Maduro, oltre alle vittime ha già portato a 3mila arresti e ferito più di 15mila persone mentre sempre più sovente civili vengono processati da tribunali militari - 400 i casi accertati - e milizie del regime invadono palazzi in pieno centro di Caracas, malmenando gli inquilini e, spesso, rapinandoli.

«Ciò che non otterremo con il voto lo otterremo con le armi», hanno avvertito nelle ultime ore Maduro e Adán Chávez, ministro della «Cultura popolare» nonché fratello del de cuius più famoso del Venezuela.

E con un tam tam senza precedenti, i cittadini del Venezuela hanno deciso di dare vita a un plebiscito attraverso un voto democratico nelle piazza di 78 città del mondo, tra cui a Roma in Vaticano.

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