Mattarella-arbitro ha già perso. Fischio d'inizio e subito fischio finale. Sconfitta. È successo nell'esatto momento in cui ha deciso di usare la metafora: «Io sarò un arbitro imparziale, ma chiedo ai giocatori di aiutarmi». Il presidente ignora la realtà, ovvero che i giocatori non aiutano l'arbitro, ma cercano di fregarlo. Sbagliato? È così e non conviene giudicare. Il giocatore si butta per terra, simula, colpisce l'avversario quando l'arbitro si gira dall'altra parte, chiede l'ammonizione dei giocatori dell'altra squadra.
Aiutare che? Aiutare chi? Il giocatore vuole vincere ed è giusto così. Per farlo usa ogni mezzo, lecito e anche no, perché il risultato conta più della modalità con cui lo stesso risultato si ottiene. Non è cinismo, è realismo. I più grandi talenti del calcio italiano e mondiale sono dei furbi che hanno il raggiro elegante nel dna sportivo. L'arbitro è il nemico comune di due squadre, inutile raccontarsi bugie. Invocare l'aiuto del giocatore è politicamente corretto e però perdente a prescindere, perché a parole un giocatore ti può anche dare supporto, ma nei fatti si smentirà. Non è mancanza di fiducia, quanto il contrario. Il giocatore è partigiano (per fortuna) , gioca per sé, per i compagni, per i tifosi. Contro tutti gli altri. La cattiveria sportiva è una dote fondamentale per essere vincenti e dentro quella cattiveria c'è il pelo sullo stomaco che include anche il raggiro dell'arbitro per ottenerne un vantaggio. Simulare non è bello, ma se simula un giocatore della mia squadra e io ottengo un rigore per questo, be' ne sono felice. Sono scorretto? Può essere, ma sono uno sportivo, ovvero voglio vincere, perché vincere conta nello sport più di ogni altra cosa.
Vale anche in politica, a dispetto delle bugie che raccontano molti: la bontà sfocia nel buonismo, deformazione di ogni sentimento positivo. Un arbitro lo sa: gioca da solo, contro due squadre che possono fregarlo. È spesso il bello dello sport, e della politica. Chi dice il contrario è falso. O non ha mai giocato.
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