nostro inviato a Padova
Qualcuno immaginava che sarebbe rimasto impigliato nelle schede. Invece. Luca Zaia ha fatto il botto. Duecentotremilacinquantaquattro preferenze. Record. Di più: record nella storia delle elezioni regionali. Un caso che fa scuola e ora i giornali devono fare uno sforzo per trovare qualcuno che si sia avvicinato a questi numeri sbalorditivi, ma nemmeno tanto: Alfredo Vito, in Campania, nel lontano 1985; ma lui si era fermato a quota 121 mila. Con una certa ferocia, Zaia ricorda la sua affermazione sibillina di qualche tempo fa, quando ogni sua richiesta finiva con un no. No al terzo mandato. No alla sua lista. No al suo nome sul simbolo. No e sempre no.
"Vedrò di essere un problema", aveva affermato il Governatore uscente, per nulla contento di finire in naftalina. Così il Presidente si è armato di umiltà e buona volontà. E ha fatto la sua campagna elettorale da soldato semplice. "Adesso - insiste - tutti hanno capito cosa volevo dire". La Lega, a sorpresa, ha avuto un exploit e ha controsorpassato FdI che alle Europee, l'anno scorso, aveva raggiunto il 37,6 per cento contro il 13,2 di una Lega umiliata. Oggi i rapporti di forza si sono invertiti: 36,3 alla Lega e 18,7 a FdI. Merito un po' di tutti, a cominciare dal neogovernatore Alberto Stefani, oggi a 33 anni il più giovane presidente di regione di Italia, come sottolinea l'ecumenico vicepremier Matteo Salvini, ma la performance della Lega è stata trainata dall'impresa di Zaia. Che ora rincara la dose: "Se mi avessero lasciato fare la lista, avremmo preso più voti".
Insomma, gli hanno legato le mani, o almeno ci hanno provato, ma lui ha vinto per distacco. E a questo punto, s'impone la questione: cosa farà Zaia di questo patrimonio di reputazione guadagnato sul campo? C'è chi pensa che possa fare ombra a Salvini e, addirittura, a Giorgia Meloni. Lui, come sempre, si mostra pragmatico e concreto, preferendo parlare di quel che sarà nei prossimi giorni. "Entrerò in consiglio regionale da semplice consigliere", spiega lui. Ma poi? Ci sono un paio di incroci nelle prossime settimane: il seggio che fatalmente Stefani lascia libero alla Camera, in palio con le elezioni suppletive; la candidatura, a maggio, a sindaco di Venezia, la città che è una vetrina sul mondo. Insomma, sempre Veneto e dintorni. Senza tentare un'opa sul partito cui appartiene e che però critica. Zaia predica se non il ritorno alla purezza nordista originaria, una variante di marca tedesca: una Lega con due anime, una nazionale e una locale, sul modello tedesco-bavarese. Ipotesi non proprio gradita al segretario che ha iniettato robuste dosi di vannaccismo nel corpo del partito, suscitando malumori e delusioni al Nord. "Il generale non è il mio benchmark - spiega Zaia che però spegne ogni ipotesi di fronda - la mia casa è la Lega, la lista Zaia non sarà mai una corrente, io sono contrario alle correnti. Semmai i voti ricevuti esprimono una protesta popolare contro la legge che vieta il terzo mandato, una legge sbagliata". Oggi la frattura nel partito, strisciante più che dichiarata, sembra ricomposta nel segno del trionfo corale. La Lega ha sbancato, Zaia si è dimostrato un capopopolo inossidabile e ha raccolto da solo il 10,8 per cento di tutti i voti espressi in Veneto. Lui non disdegna un paragone ardito: "Si dice che quando Napoleone scendeva in campo era come se ci fossero centomila uomini in più". Si fermerà fra Venezia e Padova o troverà una collocazione a Roma? Magari, non subito ma nella prossima legislatura che ormai incombe.
"Non ho nessun colpo in canna - è la risposta - dopodiché tutte le cose che leggo: deputato, sindaco di Venezia, presidenza dell'Eni, il Coni e chi più ne ha più ne metta, sono tutte cose che, se verranno, matureranno solo fra mesi, a ridosso dell'estate". Per ora ricomincia dove era ma non come era. Con una poltrona più leggera, ma con un carisma ancora più pesante.