«Putin nel 2013 mi disse: l'Ucraina non apparterrà mai all'Occidente». Il ricordo ce l'ha stampato negli occhi, Pierre Lellouche; già presidente dell'Assemblea parlamentare Nato ed ex ministro francese degli Affari europei. A dieci anni da quel giorno, prova a tenere insieme i pezzi di un puzzle che alla fine ha portato il presidente russo a essere ricercato per crimini di guerra. «La cosa curiosa - spiega Lellouche - è che né i russi né gli americani hanno riconosciuto la giurisdizione della Corte penale internazionale, e neppure l'Ucraina è membro, fa tutto parte della frenesia con cui stiamo affrontando questa guerra, complicherà solo il negoziato, stanno mettendo una porta con una serratura diversa ogni mese, difficile da aprire. E non abbiamo tempo». Pur considerato tra i più atlantisti a Parigi, con una laurea in legge ad Harvard e una lunga militanza nell'Ump (i neogollisti), oggi l'ex ministro è tranchant: «Non credo che la situazione militare sul terreno permetta di arrivare a una vittoria delle forze ucraine nel 2023».
Il motivo?
«È la paura che sta guidando le scelte. La comunicazione di Zelensky sarà insegnata nei corsi di Scienze politiche, talmente è brillante. Ma ricacciare i russi nella Federazione è un'altra cosa. La pace non è possibile, perché non ci sono veri negoziati. E pochi parlano dei cinesi, che dicono di fare attenzione a un conflitto che può degenerare ulteriormente».
In che modo?
«Ci sono quattro potenze nucleari sul campo, non dimentichiamolo».
Tra cui la Francia di Macron, il cui telefono con Mosca non squilla più...
«Macron è riuscito a farsi cacciare dal Pacifico dagli americani, dall'Africa dai russi e passare da fesso in Europa. Niente male. La sua politica estera è una catastrofe assoluta, mai vista in quarant'anni di vita professionale. E il disastro delle pensioni è il parallelo di quello in politica estera».
Cosa ha sbagliato l'Europa in questi anni?
«Non abbiamo aiutato abbastanza la Russia a democratizzarsi e poi in Ucraina l'Occidente è passato dall'indifferenza alla frenesia, la tensione è sempre stata lì, ma da qualche anno la domanda a chi appartiene l'Ucraina si è fatta pressante. Se debba o no far parte della Nato, per esempio, che nel 2008 a Bucarest Sarkozy e Merkel hanno bloccato. Ormai si è delineato lo scontro russo-americano. Lo statuto dell'Ucraina è la chiave di volta di questa storia. Putin nel 2013, alla vigilia di Maidan, mi disse: l'Ucraina non apparterrà mai all'Occidente. Eppure Biden va a Kiev...».
Perché, secondo lei?
«È diventata una guerra non dichiarata per procura tra americani e russi. A prescindere dalla responsabilità delle parti, questa oggi è la realtà».
Come si può arrestare l'escalation?
«Tutti hanno capito che oggi devono mettersi d'accordo Washington e Mosca. E se la Cina e l'India non cominciano a giocare un ruolo per trovare un compromesso, non se ne uscirà nel breve. Le condizioni della pace non passano dai 103 miliardi di euro messi sul piatto finora dagli Usa per aiutare l'Ucraina a combattere».
E da dove allora, da Putin incriminato all'Aia?
«Fa parte della follia del momento, complicherà solo il negoziato».
E se Kiev entrasse nell'Ue?
«Un Paese in guerra non può, ma se ci si arrivasse si distruggerebbe l'Ue. Dobbiamo essere onesti».
Sulle armi l'Ue si sta però muovendo per produrne di nuove.
«Servono minimo due anni per nuovi cannoni. Riducendo i tempi, 18 mesi per i Caesar. La guerra d'attrito la sta vincendo la Russia, che ha corpi da mandare al macello. Per gli Himars americani, pure due anni. Gli stock di stinger negli Usa sono praticamente fermi. Gli aerei, stessa cosa. Il Mamba italo-francese è ottimo, lo scudo antimissile, ma ce n'è uno solo».
Non basta?
«No, direi proprio di no. Ma non ci sono soldi».
Una domanda su Cesare Battisti. È vero che faceva il concièrge nel suo palazzo?
«Sì, Battisti lo feci arrestare io la prima volta, poi il governo francese dell'epoca se lo lasciò scappare».
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