Zelensky, l'orgoglio e l'appello. "Militari stranieri per la pace"

Il giorno dell'indipendenza: "Non cederemo la nostra terra". Lavrov: "Vertice? Prima colloqui a Istanbul". Trump: "Stop alla carneficina"

Zelensky, l'orgoglio e l'appello. "Militari stranieri per la pace"
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A Kiev è stata la giornata dell'orgoglio. E della speranza. Perché mai come adesso celebrare l'indipendenza dell'Ucraina non è soltanto un atto simbolico ma un vero e proprio manifesto. Per quello che è stato ma, soprattutto, per quello che sarà. Un'Ucraina libera e indipendente non è solo nei pensieri e nei progetti del presidente Zelensky ma anche di tutto l'Occidente che ieri, come in questi tre anni e mezzo pur con diversi distinguo, è sempre stato dalla parte di Kiev. Ora però è il momento di trovare una soluzione ma gli ostacoli restano tanti. La Russia, in primis, e la sua volontà di prendere tempo e proseguire il conflitto. Ma "l'Ucraina unita non sarà mai più costretta nella storia a quella vergogna che i russi chiamano compromesso. Abbiamo bisogno di una pace giusta", dice con orgoglio Zelensky, consapevole di un particolare che fa la differenza quando spiega che "non siamo soli".

Ieri a Kiev c'erano l'inviato americano per l'Ucraina Keith Kellogg, chiamato a mostrare vicinanza e anche a spiegare le intenzioni dell'ondivago ma decisivo Trump e ancor più dell'ambiguo vice Vance, mentre dalla Nato e dall'Europa arrivavano messaggi di conferma alla vicinanza e al sostegno. È su questo che conta Zelensky quando definisce "importante" la presenza di truppe straniere in Ucraina dopo la fine della guerra, quando arriverà. "Il nostro futuro possiamo deciderlo solo noi. E il mondo lo sa", ha detto il presidente. "Siamo fiduciosi che resisteremo a questa guerra. Difenderemo la nostra indipendenza e la nostra terra e il diritto a una vita indipendente. Gli ucraini sono e rimarranno su questa terra dove tra cento anni sorgeranno le nostre generazioni future. E tra cento anni, celebreranno qui il Giorno dell'Indipendenza dell'Ucraina", ha detto Zelensky.

Orgoglio e retorica a parte, il percorso resta in salita. Soprattutto perché la Russia sembra non volerne sapere di arrivare alla pace. "Putin è pronto a proseguire i negoziati diretti russo-ucraini iniziati a Istanbul ma gli incontri tra i leader di Russia e Ucraina, devono essere preparati molto bene", ha detto il ministro degli Esteri di Mosca Lavrov che continua quindi a fare melina e ripropone la solita menzogna propagandistica per cui i Paesi occidentali "stanno tentando di bloccare i colloqui di pace sull'Ucraina", un modo per buttare la palla in tribuna. Il presidente Usa Donald Trump è caustico: "È venuto il momento di porre fine a una carneficina senza senso", chiedendo un negoziato "che porti a una pace duratura che fermi lo spargimento di sangue e salvaguardi la sovranità e la dignità dell'Ucraina". Mentre il suo vice Vance sembra sposare le tesi del Cremlino e dice che "la Russia ha fatto molte concessioni a Trump". Tra i tanti messaggi arrivati a Zelensky per la festa ucraina, anche quello di Papa Leone XIV che ha rivolto una preghiera "per il popolo dell'Ucraina che soffre" e rivolgendo "una supplica al Signore di muovere il cuore delle persone di buona volontà affinché taccia il clamore delle armi e si lasci il posto al dialogo, aprendo la strada della pace".

Una speranza e una preghiera in un momento chiave.

In cui, per ora, l'unico risultato è l'ennesimo scambio di prigionieri, 146 per parte, tra Russia e Ucraina. Tra gli altri anche il sindaco di Kherson, deportato tre anni fa e tornato in patria, come dimostrano le foto, smagrito e quasi irriconoscibile. Una delle tante atrocità di una guerra la cui fine sembra ancora lontana.

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