Zero stranieri, negozi chiusi (e in vendita). Viaggio nella Serenissima che sprofonda

Gli albergatori: fatturato crollato al 20%, nel Recovery fund nulla per il turismo

Zero stranieri, negozi chiusi (e in vendita). Viaggio nella Serenissima che sprofonda

«Speravamo molto nel Recovery fund, ma ora scopriamo che nei progetti sul turismo non c'è niente di specifico. Il governo ci ha abituato a decreti last minute e non sappiamo mai che aspettarci, mentre per organizzarci abbiamo bisogno di un piano a medio lungo termine. Non si può contare sempre sulle sole forze degli imprenditori». Guido Polito, amministratore delegato di Baglioni Hotels, l'unica catena a 5 stelle tutta italiana, interpreta la voce di un'intera categoria, stremata prima dalla crisi economica e poi dalla pandemia. Ha voluto riaprire a luglio l'hotel Luna, a due passi da piazza San Marco, ma tutto è stato complicato. «Speravamo nella spinta alla ripartenza della festa del Redentore - spiega -, poi sono stati cancellati fuochi d'artificio ed eventi senza che fossimo consultati e abbiamo avuto 30 camere cancellate. Ad agosto siamo riusciti a stento a coprire i costi, grazie ad un po' di turismo italiano, soprattutto di passaggio tra mare e montagna e qualche straniero che arriva in auto soprattutto da Germania e Austria. Ora la mostra del cinema in forma ridotta non ha creato alcun movimento e abbiamo un fatturato del 20% del normale. Con la riapertura delle scuole le cose andranno ancor peggio».

Il buono-vacanze voluto dal governo, poi, è stato un flop. «Tanto per dire che hanno stanziato 2 miliardi e mezzo, ma non ha smosso nulla», osserva Polito. E poi c'è l'altalena di notizie, che respinge gli stranieri, su chiusure dei confini, obbligo di tamponi, quarantena, collegamenti difficili...

Il risultato si vede girando per le calli di Venezia, senza l'ombra della solita ressa colorata, tra vetrine di negozi sbarrati, abbandonati, agonizzanti. Anche allo storico hotel Excelsior del Lido, dove si apre la mostra del cinema, si respira un'aria pesante e naturalmente è stata cancellata la tradizionale cena di gala per mille persone. A piazza San Marco tutto sembra immobile, anche i piccioni disdegnano i tavolini dei due bar superstiti, immersi in una musica che suona patetica. Taxi e gondole si contendono stancamente i pochi viaggiatori. Mentre, ancorato sul Canal Grande, sembra deserto il gigantesco yacht Tytan appartenuto al milionario russo Abramovic.

Poco più in là Calle dei Fuseri, una volta location contesa con affitti da 5mila euro al mese, è una lunga sequela di porte chiuse e cartelli di «Cedesi attività», tante vecchie di secoli. «Chiudiamo ad ottobre, come mezza Venezia, il Covid è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso», racconta sconsolato lo stilista Silvano Arnoldo, sfilate, premi, clienti vip di tutto il mondo, dietro le spalle del suo brand. Indica la spoglia vetrina di eleganti occhiali di fronte al suo «Arnoldo&Battois», e la proprietaria che si prepara a tirare giù definitivamente le serrande. Come, dietro l'angolo, un albergo centralissimo. «Per 20 anni abbiamo investito qui, ma gli ultimi quattro sono stati un disastro. Venezia soffre di un turismo di bassissima qualità - spiega Arnoldo -, mordi e fuggi e con la pandemia abbiamo perso i clienti internazionali, americani, svizzeri, arabi, non solo ricchi ma colti ed eleganti, che ci apprezzavano».

Marco Toso Borella incide con il suo ago magico la sfoglia d'oro fusa sul vetro, secondo un'antica tecnica romana. Nel suo affascinante atelier di Murano si aggirano, impressionati, tra le sue opere due australiani, bloccati in Europa da 6 mesi. «Sia la chiesa del Redentore che quella della Salute - ricorda - sono sorte a Venezia come ex voto, dopo tragiche epidemie di peste. Si parla della provvida sventura che può generare nuove opportunità, ma stavolta il Covid per la città più fragile del mondo è una sventura e basta. Per secoli Venezia ha cercato di difendersi dal contagio culturale, ora se vuole sopravvivere deve impossessarsi della propria identità. Dev'essere non più megafono ma voce. E non c'è da aspettarsi aiuti dall'esterno, perché il mondo piange. Il problema è che in questa fase provvisoria dobbiamo ricostruire senza sapere come sarà il domani». Non è uno dei tanti artigiani, Marco, la sua famiglia è nel Libro d'oro degli incisori di Murano dal 1605 e lui è un visionario che gioca artisticamente con i simboli del web e le icone bizantine, con gli emoticon e Klimt, con un Icaro tridimensionale dai fili social, che lo possono legare o liberare. Artista, musicista, coreografo, scrittore, direttore del coro più grande d'Italia, con 300 elementi, nel lockdown down ha catturato con il suo blog l'attenzione dei naviganti del web con post sulla Fase 0, cui deve seguire la ripartenza e video con un brano tratto da I Miserabili in cui si canta in tutte le lingue: Bisogna lottare per la libertà.

Le immagini del Leone di San Marco con la mascherina e i messaggi provocatori hanno scatenato dibattiti e polemiche, i partiti gli hanno offerto di entrare in politica ma lui è geloso della sua indipendenza. «Senza l'alieno - dice -Venezia muore, come l'Italia intera. L'alieno-turista, spesso demonizzato, si rivela oggi indispensabile. Come nel farmaco, il segreto sta nelle giuste dosi».

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