Zingaretti digerisce Conte. Il programma è solo una farsa

Sotto il pressing dei renziani e di Franceschini, il leader Pd accetta il premier uscente e si inventa «i contenuti»

Zingaretti digerisce Conte. Il programma  è solo una farsa

È il giorno del grande assedio a Nicola Zingaretti. Un assedio che va, dicono nel Pd, «dal Papa a Landini, dall'Unione europea alle banche alle forze armate». Passando anche per il Colle.

È un pressing corale, collettivo, a tratti drammatico, cui è difficile resistere. Che si allarga anche all'interno del Pd, dove tutti i big, tranne Paolo Gentiloni e gli zingarettiani di più stretta osservanza, partecipano all'assedio. Il tema è uno solo: il segretario del Pd deve fare il sacrificio di accettare quel nome comprensibilmente fastidioso, Giuseppe Conte, che i grillini mettono sul tavolo come conditio sine qua non, e costringerli quindi a fare sul serio un governo che sventi le elezioni anticipate e la probabile vittoria di Salvini.

A sera, l'argine fin qui eretto dal Nazareno contro Conte, in nome della «discontinuità», inizia a vacillare. Per tutta la domenica, al Nazareno si riuniscono parlamentari e dirigenti attorno ai cosiddetti «tavoli tematici», che dovrebbero lavorare alle proposte per un programma comune. Alla fine, Zingaretti tira le fila davanti alle telecamere: non pronuncia il nome di Conte, non rinuncia a parlare di un governo «di svolta e di discontinuità», ma sposta l'attenzione sui «contenuti»: «Il tema non sono i veti e gli ultimatum, ma quale idea di Italia vogliamo proporre». Rottama il «contratto di governo» di era grillo-leghista: «Una modalità cui non crediamo», e lancia un appello ai Cinque stelle: «Da domani superiamo le timidezze e apriamo il confronto sui temi». Riconosce che (anche nel Pd) ci sono «opinioni differenti» sui nomi ma assicura che è «impegnato a trovare una soluzione nel confronto reciproco».

Sabato sera Zingaretti aveva provato a rilanciare sul nome di Fico, ben sapendo che era indigeribile, per rimettere il proverbiale cerino nelle mani grilline, nella speranza di aprire la strada al voto. Fico, prontamente preso per le orecchie dai suoi, aveva fatto sapere di non essere della partita, mentre Di Maio veniva costretto a chiamare Zingaretti per ribadire che Conte è il candidato unico di M5s. Linea rafforzata da un proclama di Grillo che esalta le virtù inenarrabili del premier con pochette. E dopo la conferenza stampa di Zingaretti, i grillini rilanciano: «La soluzione è Conte, il taglio dei parlamentari e la convergenza sugli altri 9 punti posti da Di Maio. Non si può aspettare altro tempo su delle cose semplicemente di buon senso». Il Pd zingarettiano prova a rilanciare alzando il prezzo: «Se accettassimo Conte, il resto del governo dovrebbe essere praticamente un monocolore Pd», fanno trapelare fonti non precisate della segreteria. Sembra un messaggio in bottiglia a Di Maio per spingerlo a dire di no. Intanto nel Pd si realizza una bizzarra convergenza: Dario Franceschini twitta una foto della Nazionale italiana del 1982: «Allora il silenzio stampa portò fortuna», e si appella agli altri big dem in queste ore «delicate e difficili»: lasciate che parli solo il segretario, è l'invito. Prontamente, Renzi e Gentiloni ritwittano le parole di Franceschini. «Il messaggio di Dario è chiaro: voi state zitti, e io mi lavoro Zingaretti per fargli dire di sì», spiega un dirigente. Dai renziani arrivano messaggi soavi: «Sia il segretario a fare gol, noi ci siamo limitati a fargli l'assist».

Ma poi si insiste sulla necessità di «accettare la sfida e dia via libera a Conte». Altrimenti, sottolineano, «se Salvini mercoledì propone Di Maio premier e i grillini dicono sì, Mattarella è costretto a dare l'incarico».

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