La polizia: «Ci hanno messo alla prova»

Non uno scherzo pesante, non un atto di vandalismo fine a se stesso, ma sicuramente qualcosa di più grave. Forse un avvertimento. O forse un test, un allarme fasullo per saggiare le capacità degli apparati di sicurezza di Malpensa di reagire davanti al pericolo, i tempi di reazione per la messa in sicurezza dello scalo, le modalità di intervento delle squadre speciali. È questa una delle ipotesi che circolano tra gli addetti ai lavori sul misterioso episodio verificatosi ieri nell’aeroporto varesino: «Forse hanno voluto metterci alla prova» dicono gli agenti della Polaria». Il ritrovamento dell’ordigno ha mandato in fibrillazione per circa due ore tutto l’apparato - dalla security interna, alle forze di polizia, ai servizi di intelligence - che si occupa di sorvegliare l’aeroporto internazionale: soprattutto in questi giorni in cui il fallito attentato al volo Delta del 26 dicembre ha rilanciato in tutto il mondo l’emergenza terrorismo, specie in relazione al traffico aereo. Una volta neutralizzato il presunto ordigno nei bagni delle partenze, l’attenzione degli investigatori è stata rivolta ad analizzarlo con attenzione. E questa analisi ha confermato che dietro al falso allarme non c’è la mano di un dilettante. Chi ha piazzato la finta bomba è qualcuno che sapeva bene come simulare un pericolo e scatenare l’allarme. Esplosivo a parte, l’ordigno era esattamente strutturato come una bomba. Se davvero si è trattata di una prova, va detto che l’apparato ha reagito bene e in fretta. Un altro elemento confortante è che l’ordigno è stato collocato al di fuori della cosiddetta «zona sterile», il settore dell’aeroporto aldilà dei controlli di sicurezza. È chiaro che se il ritrovamento fosse avvenuto oltre i metal detector, la sfida sarebbe stata ben più pesante: perché una volta arrivati alla zona sterile non ci sono più ostacoli che impediscano di arrivare fino a bordo degli aerei. Un ritrovamento simile in zona sterile avrebbe costretto a rivedere tutto il sistema delle procedure antiterrorismo. Invece gli autori dell’operazione non hanno neanche provato a superare i controlli. Per i loro obiettivi era sufficiente piazzare la finta bomba all’interno dell’aeroporto, limitandosi a sfidare gli occhi elettronici delle decine di videocamere che inquadrano quasi ogni angolo di Malpensa. La sfida è stata portata a segno con successo, perché il sistema di videosorveglianza dello scalo a quanto pare si ferma - forse per rispettare il pudore dei viaggiatori - all’esterno delle toilette. Ma questo è un dettaglio che conoscono, o dovrebbero sapere, solo gli addetti alla sicurezza. E questo vuol dire che chi ha lasciato l’ordigno è stato molto fortunato, o ha avuto informazioni molto precise.

La scelta della procura di Busto Arsizio di aprire una indagine contro ignoti con l’ipotesi di «procurato allarme» è solo apparentemente una scelta di basso profilo. Se l’autore del gesto venisse identificato, rischierebbe nella peggiore delle ipotesi sei mesi di arresto o 516 euro di multa. Ma dovrebbe soprattutto fornire più di una spiegazione sui motivi del suo gesto.

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