da Milano
«Finché ci sono io non si fa». È questo il concetto che emergerebbe dai documenti citati dal direttore generale del Sismi, Niccolò Pollari, durante linterrogatorio di sabato scorso davanti ai Procuratori aggiunti di Milano, Armando Spataro e Ferdinando Pomarici, che indagano sul rapimento dellex imam di Milano Abu Omar.
Qualcosa, con il contagocce, inizia dunque a trapelare circa il contenuto dellinterrogatorio di Pollari. Poche parole che, da una parte, confermerebbero come il capo del Sismi fosse al corrente del progetto per rapire lex imam di Milano, dallaltra indicherebbero la sua contrarietà al piano. Poche parole che spostano ulteriormente il piano delle responsabilità di questa intricata e inquietante vicenda.
Perché il vice di Pollari, Marco Mancini, il primo a essere coinvolto nella vicenda e a essere arrestato, prima di essere rilasciato ha rimpallato altrove la responsabilità del sequestro? Se anche Pollari, che pure sapeva, non ha dato la sua autorizzazione alloperazione «Abu Omar», resta il mistero su chi è stato. A fare chiarezza potrebbero essere alcuni documenti in possesso di Pollari, documenti però gravati dal segreto di Stato e quindi non utilizzabili a fini processuali per il rischio di coinvolgere e smascherare uomini dei servizi.
Da quanto è emerso al termine dellinterrogatorio, i difensori di Pollari, il professor Franco Coppi e il collega Titta Madia, si dicono fiduciosi sui tempi e sugli sviluppi dellinchiesta. Tutto dipenderà dagli inquirenti, i pm milanesi Spataro e Pomarici, che non hanno ancora inoltrato alla presidenza del Consiglio dei ministri la richiesta di confermare o di rimuovere il segreto di Stato, come è trapelato in serata da ambienti governativi. Su questa richiesta in Procura bocche cucite: sul provvedimento cè il più stretto riserbo da parte dei due inquirenti.
Resta il fatto che le accuse su Pollari sono cresciute di intensità proprio in concomitanza con la liberazione di Marco Mancini, il suo braccio destro al Sismi, luomo indicato a lungo come il possibile gestore da parte italiana del rapimento. La sua liberazione è stata letta come la conferma che i magistrati hanno creduto alla sua tesi difensiva e la sua collaborazione è stata ritenuta importante.
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