Cultura e Spettacoli

Il pollo di Marjane non piace agli ayatollah

Va a finire che il chador è una fissa dell’Occidente. E che la democrazia non si misura da queste cose ma dalla libertà del pensiero, perché anche le donne europee hanno i loro chador: si chiamano ombelichi in vista e starlette. Se l’Iran ha i suoi mullah, l’Occidente ha Blair, Chirac, Bush e Berlusconi, «anche se non sono una stupida: so bene che se critico Bush posso farlo senza che nessuno mi arresti, se critico il mullah sapete come va a finire». Pillole del Satrapipensiero. Satrapi - cognome proveniente dall’aristocrazia filomarxista dell’Iran d’un tempo - è Marjane Satrapi, giovane donna passata alla ribalta delle cronache letterarie per lo strepitoso successo delle sue strisce a fumetti ispirate alla storia moderna del suo Paese.
Giramondo di passaggio in Italia, Marjane vive in Francia da undici anni. Da quando cioè i suoi progetti artistici «non sono piaciuti al regime iraniano» e per lei si è reso necessario l’esilio volontario. Prima Vienna poi Strasburgo infine Parigi dove ha prodotto nel 2002 Persepolis romanzo a fumetti apprezzato in tutto il mondo. Tipetto deciso, Marjane. 36 anni, magliette vivaci, l’aria da ragazzina con la sigaretta perennemente accesa e quando si auto-ritrae non rimpicciolisce nemmeno il neo sul naso, segno distintivo di personalità non banale. Con le sue quattro lingue conosciute, la profonda cultura che le deriva da un’educazione ricercata e i tanti viaggi, Marjane ha una certa idea della letteratura e della missione degli artisti: «Le mie storie non sono un reality show: sono fatte per sublimare la vita. Io con le parole voglio sedurre, non produrre un documentario».
Intento perfettamente riuscito nella sua ultima opera: si chiama Pollo alle prugne (Sperling & Kupfer, pagg. 81, 14 euro) e narra la surreale vicenda di un uomo, uno zio alla lontana di Marjane, che nell’Iran degli ultimi anni Cinquanta si lascia morire per un duplice sfortunato amore: il primo nei confronti di una donna che non ha mai potuto avere, il secondo per il suo tar, una sorta di liuto che la moglie gli ha rotto in un impeto d’ira. La cronaca degli ultimi giorni del musicista, mentre a letto rifiuta il cibo e non riesce più nemmeno a sognare il seno dell’adorata Sophia Loren, è narrata con un va e vieni di flash-back e progressioni di grande impatto. «Persepolis aveva una struttura didattica perché, attraverso le mie vicende familiari, volevo spiegare ai lettori occidentali la storia recente del mio Paese - spiega -, quest’ultimo lavoro ha una tecnica nuova, molto cinematografica».
A Marjane piacciono le sfide: da qualche tempo è al lavoro con Vincent Paronnaud per la realizzazione di un cartoon tratto proprio da Persepolis: si tratta di oltre un milione di disegni che Marjane elabora con un’équipe per un’animazione pensata per adulti, in bianco e nero, e che uscirà nel 2007. Guai a darle della volitiva. «Tutt’altro. Vivo un’esistenza fluttuante in cui i progetti capitano senza che sia io a cercarli: è accaduto con Persepolis, che all'inizio scrissi e fotocopiai per gli amici più cari, oggi accade per questo film, un’opera immane che mi sta togliendo il sonno». Ma che non frena la lingua: «Quando mi hanno chiamato da Los Angeles perché volevano i diritti del libro per una sorta di fiction stile Beverly Hills, non ci ho messo molto a mandarli a quel paese».
Appassionata osservatrice della vita politica iraniana, Marjane riconosce di avere avuto, rispetto a tanti suoi connazionali, una vita privilegiata: «Da anni però il passato mi è stato rubato e io me lo sono ripreso attraverso i fumetti: si scrive bene solamente ciò che si sente vibrare sulla pelle e a me questo brivido lo dà la memoria genetica del mio Paese. Ecco perché le storie di famiglia, come quella di Nasser, zio infelice e bellissimo, colpiscono la mia immaginazione: non potrei scrivere altro genere di comics». Sì, dice proprio fumetti e non ama che li si chiami graphic novel. «I miei lavori sono in tutto e per tutto fumetti: non capisco perché se la critica li apprezza allora li si debba chiamare romanzi grafici. Ci sono comics belli e altri stupidi, ma sempre di arte popolare si tratta e io ne vado fiera».
Tanto fiera che sta lavorando a un nuovo lavoro di cui non rivela nulla: di sicuro sarà in bianco e nero, il suo tratto distintivo, e ambientato in Iran: «Mi interessano le persone che vivono lì, non la politica». In realtà qualche sassolino se lo toglie: «Non sarei andata a votare alle ultime elezioni: fintanto che il Consiglio dei Guardiani decide chi può candidarsi e controllare il Parlamento, le elezioni contano poco. La democrazia è un’evoluzione culturale, non un voto. Pensiamo piuttosto al fatto che il 64 per cento degli studenti universitari in Iran è costituito da donne: questa per me è già una prima rivoluzione democratica». Sull’ennesima sigaretta, l’anima pasionaria l’abbandona: «Che cosa mi manca del mio paese? Mi manca tutto.

Tutto».

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