da Roma
«Il governo Prodi sopravvive grazie al trasformismo». Renato Schifani, capogruppo dei senatori di Fi, canta il requiem nellaula di Palazzo Madama. Per lui «questa è una fiducia a responsabilità limitata, di un governo nato morto». Se lesecutivo del Professore si salva, replica al premier, lo fa con troppi sì di senatori pronti a votare contro provvedimenti come Dico, Tav, Vicenza, pensioni. Tutto, per «paura di andare a casa». Romano Prodi vince in termini parlamentari, ma è politicamente morto per la Cdl. «È iniziata la fase due del governo - commenta il vicecoordinatore di Fi Fabrizio Cicchitto -, ma è quella che precede il collasso finale». E nei banchi del centrodestra si distribuiscono manifestini listati a lutto sulla scritta «Mortadella».
Malgrado la fiducia incassata il premier è alla fine del suo percorso, anche per il capogruppo di An Altero Matteoli. «Praticamente ha fatto testamento ma non ha trovato neppure un erede». Sono infarciti di riferimenti funebri i commenti dellopposizione prima del voto in Senato. Tutti sottolineano che non andrà lontano un premier che vivacchia con una maggioranza «numerica», senza avere quella «politica», come dice Cicchitto.
Il capogruppo della Lega, Roberto Castelli, ha parole durissime: «Lei ha fallito - dice a Prodi -, gli italiani vi hanno voltato le spalle. La sua stagione è finita. La parola al popolo». Poi un riferimento a Marco Follini, quel «piccolo giuda» che ha salvato formalmente il governo. E un altro a Franco Turigliatto del Prc, che a Prodi ha negato il voto sullAfghanistan, poi ha annunciato le dimissioni ed ora difende «il suo scranno e quello dellUnione». Come altri «rivoluzionari da salotto», pronti a votare leggi di fatto «in linea con le politiche della Cdl».
Proprio al dichiarato voto contrario di Turigliatto su «questioni fondamentali» per lUnione, oltre a quello mancato del senatore a vita Giulio Andreotti che non ammette le coppie di fatto anche gay, pensa il capogruppo dellUdc Francesco DOnofrio: «La crisi continua, la fiducia è finta, il governo dei Dico non Dico non è un governo». Perché «la transizione devessere ancora completata e dallillusione della vittoria elettorale Prodi è passato alla dura realtà della crisi del suo governo». Le varie anime della sua maggioranza sono «incomponibili» e sulla legge elettorale il premier tace, «perché qualunque cosa dica una parte dellUnione va in tilt». Matteoli si sorprende che Prodi parli di una modifica della Costituzione che richiederebbe due anni e avverte che An non è disponibile a sostenere il modello tedesco.
Pensa invece allitalo-argentino Luigi Pallaro, determinante centocinquantottesimo voto per lUnione, lazzurro Marcello Pera: «Quando scopriranno che i senatori eletti nelle circoscrizioni estere non hanno diritto di voto, o lo hanno a seconda delle materie, dato che impongono tasse che noi paghiamo e loro no?». Schifani dice che Pallaro «è stato eletto dal centrodestra, ma poi qualcosa è cambiato nelle ultime due ore del suo soggiorno in Argentina».
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