Roma - Pim. Pum. Pam. Il centrodestra sale sulle barricate e accende tutti i fuochi d’artificio della polemica politica per contestare la mossa di Tommaso Padoa-Schioppa, che ha scritto a Prodi per informarlo che il consigliere della Rai Angelo Maria Petroni non gode più della sua fiducia. L’obbiettivo del ministro dell’Economia è evidente: convincere alle dimissioni Petroni, reo di essere stato indicato dal precedente governo quale rappresentante dell’Economia nel Consiglio d’amministrazione della Rai.
«In realtà credo che questa volta i consiglieri abbiano mal consigliato il ministro - commenta Paolo Bonaiuti, portavoce di Berlusconi - La sua scelta è insostenibile da un punto di vista giuridico». Una corrente di pensiero, infatti, sostiene che Petroni, benché sfiduciato, possa anche non dimettersi di fronte all’assemblea. Per un motivo. È stato indicato dal ministero dell’Economia ed è legato ad un contratto che scade nel 2008. Sull’argomento, a Montecitorio c’è chi ricorda il caso di Alessandro Ovi, oggi consigliere per le telecomunicazioni del presidente del Consiglio. Sedeva nel consiglio d’amministrazione della prima Telecom privatizzata. E non si mosse di lì nemmeno quando passò di mano e cambiò governo.
Ma procedure giuridiche a parte, Sandro Bondi ricorda che «mai nella storia della Rai era stato rimosso dal governo un consigliere d’amministrazione. La decisione - prosegue il coordinatore di Forza Italia - è chiaramente illegale perché la legge sulla Rai garantisce l’indipendenza dei consiglieri d’amministrazione». E chiama in causa il presidente della Repubblica. «Spero possa intervenire per ristabilire le condizioni minime di agibilità democratica e per evitare ulteriori lacerazioni».
Lacerazioni che, a dir la verità, vengono ipotizzate dalla stessa Forza Italia. Il capogruppo dei senatori azzurri, Renato Schifani, minaccia «il blocco dei lavori del Senato» per contrastare la decisione del governo di sfiduciare Petroni. «La nostra responsabilità - precisa Giampiero Cantoni - non può essere illimitata. La mossa del governo è un vero e proprio golpe». Fabrizio Cicchitto mette in luce «il disprezzo del governo per le più elementari norme di legge». E si dice «stupito e amareggiato che il ministro Padoa-Schioppa, per conto di Prodi, si sia prestato ad una squallida operazione di regime». Anche perché il ministro dell’Economia dovrebbe sapere - commenta Giorgio Lainati - «se ha realmente ascoltato il parere di giuristi, che non può revocare Petroni».
Per Roberto Calderoli e Marcello Pera, invece, la mossa del governo è finalizzata ad un’occupazione «manu militari» della Rai. L’ex presidente del Senato (non sempre in sintonia accademica con Petroni) usa il sarcasmo: «A chi la presidenza della Repubblica? A noi! A chi quella del Senato? A noi! e quella della Camera? A noi come le authority e tutto il resto, sempre e soltanto a noi, eia eia trullallà! Questo lo stile del Partito democratico». E sottolinea come «Prodi vuole, pretende e prende. Forse sarebbe buona cosa - scrive Pera nel suo sito web - che gli altri vertici istituzionali gli facessero presente che la democrazia prevede pesi e contrappesi, non sassi e schiacciasassi». Sullo stesso tono anche Calderoli: «Come in ogni regime che si rispetti, dopo aver espropriato il popolo delle proprie risorse finanziarie con le tasse, ora si procede con occupazioni “manu militari” a prendere possesso del sistema radio televisivo». E aggiunge: dalla Rai Petroni e gli altri non si muoveranno.
Roberto Maroni, invece, va oltre. Ed innesca riflessioni politiche condivise da altre formazioni politiche dell’opposizione. «Se c’è una maggioranza politica all’interno del cda della Rai, il presidente spetta all’opposizione: lo dice la legge. O rispettiamo la legge - sottolinea - o c’è l’anarchia totale. Se si pensa che le regole di equilibrio valgono solo quando governa il centrodestra, basta dirlo». La presa di posizione di Maroni presuppone, quindi, che l’intero cda della Rai si debba dimettere. Esattamente quel che chiede Lorenzo Cesa dell’Udc. Ma anche Clemente Mastella dell’Udeur.
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