Una volta era la brezza del Ponentino a soffiare sui cieli di Roma, oggi invece cè cocaina nellaria della capitale. Sospese e diffuse nelletere, miste alle polveri sottili che avvelenano ogni giorno di più lossigeno dei romani, le molecole di droga sono state rilevate e monitorate nientemeno che dalle centraline anti-inquinamento del Cnr, il Consiglio nazionale di ricerche.
I dati parlano chiaro: in una campionatura ininterrotta dal 2004 a oggi le concentrazioni di pulviscolo di «neve» raggiungono il valore massimo, vale a dire circa lo 0,1 nanongrammi per metro cubo, nei mesi invernali, il picco nei pressi del quartiere universitario de La Sapienza. «Un caso - ci tiene a sottolineare il professor Ivo Allegrini, direttore dellIstituto sullInquinamento atmosferico - perché è proprio lì che abbiamo installato una delle nostre centraline. Rischi per la salute? Non nellimmediato. Anche se è bene cominciare ad avere coscienza dei diversi pericoli che si corrono abusando degli stupefacenti per se e per gli altri».
Insomma, avete presente i danni da fumo passivo? Secondo gli esperti con la coca è identico. Ossia: cè chi la «tira» e chi, volente o nolente, finisce per respirarla, nellaria appunto. Certo, precisano sempre i ricercatori delléquipe capitanata dal professor Angelo Cecinato, gli stessi che negli anni hanno messo a punto il sistema di rilevazione molecolare ormai definito «infallibile», le cause di questa concentrazione sono tutte da indagare.
«È pur vero però - spiegano - che dati simili non sono emersi né a Taranto, né ad Algeri, le altre due città prese a riferimento». Che la concentrazione di cocaina a Roma, nelletere o meno, sia un caso lo smentiscono i continui sequestri di «partite» intercettate sulle rotte dal Sudamerica via Spagna, importate col beneplacito delle ndrine calabresi trapiantate a due passi dal Cupolone e incaricate dei contatti con i boss d'Oltreoceano; quindi smerciate sul posto dai «cavalli» locali, i territori ben divisi in una sorta di pax mafiosa tra figli e figliastri protetti dallala di Cosa nostra. Un anno fa lallarme denunciato dal procuratore della direzione distrettuale antimafia Lucia Lotti: «Roma è il crocevia internazionale della cocaina, un business che supera gli introiti di qualsiasi altro colosso industriale».
Fioccano attività aperte in centro come in periferia o sul litorale: i soldi guadagnati col nuovo «oro» vanno reinvestiti, capitalizzati. Per molti piazzare un dose è un secondo lavoro, per altri il primo.
Che provengano dal passaggio di banconote utilizzate come cartine per «sniffare», che si disperdano durante le stesse operazioni di sequestro, le particelle di coca finiscono per entrare nei nostri polmoni in maniera «universale», quando apriamo una finestra, passeggiamo nel parco o giriamo in motorino. «Gli effetti per il cuore e il cervello sono deleteri nel lungo termine - spiega Cecinato - soprattutto se combinati con altri agenti inquinanti o alcol. Non è allarmismo, ma non bisogna trascurare certi segnali».
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