Il Pontefice dà la benedizione agli «atei devoti»

Sì all’amore autentico, non a forme deboli o deviate e alle contraffazioni della libertà

nostro inviato a Verona

Nel discorso di Papa Ratzinger fa capolino un passaggio positivo dedicato agli «atei devoti», cioè a quegli uomini di cultura non credenti che però difendono i valori e l’identità cristiana. Un tema che ha fatto discutere, in questi giorni, per l’interpretazione data alle parole pronunciate dal cardinale Dionigi Tettamanzi nella prolusione di apertura del convegno. «È meglio essere cristiano senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo», aveva detto l’arcivescovo di Milano citando Sant’Ignazio d’Antiochia, e questa frase era stata letta da alcuni come un altolà all’uso «politico» della religione, una critica a chi difende il ruolo del cristianesimo come elemento dell’identità dell’Occidente, professandosi però non credente.
Dopo aver detto che in Italia «è sentita con crescente chiarezza l’insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa e di un’etica troppo individualista», e dunque si avverte «la gravità del rischio di staccarsi dalle radici cristiane», Benedetto XVI ha parlato con attenzione e rispetto dei cosiddetti «atei devoti»: «Questa sensazione, che è diffusa nel popolo italiano, viene formulata espressamente e con forza da parte di molti e importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono o almeno non praticano la nostra fede».
I due esponenti italiani più in vista sono l’ex presidente del Senato Marcello Pera, con il quale Ratzinger, da cardinale, ha dialogato pubblicamente più volte, e il direttore del «Foglio» Giuliano Ferrara, che sentendosi chiamato in causa dalle parole di Tettamanzi, gli ha risposto dalle colonne del quotidiano rivendicando la possibilità per i laici di «dirsi cristiani» come già aveva fatto Benedetto Croce.
Ma non è certo sulle polemiche relative ai «teocon» di casa nostra che si è giocato il convegno di Verona. È fuori di dubbio che il discorso di Papa Ratzinger e i suoi punti programmatici così coincidenti con le posizioni espresse in questi anni dal cardinale Camillo Ruini, sembra far tramontare l’ipotesi di una presidenza della Cei affidata all’arcivescovo di Milano, che aveva dedicato la sua prolusione al recupero dell’ottimismo del Concilio Vaticano II, invitando la Chiesa a lanciare «messaggi di fiducia» invece di «deprimenti diagnosi» e «funesti presagi».
Di fatto, questa posizione, è apparsa talvolta maggioritaria tra la base dei delegati presenti a Verona. Ciò significa che la leadership del presidente uscente della Cei è riuscita a compattare la Chiesa italiana in questi anni, ma la sua linea non è diventata il sentire comune di tanti preti e laici impegnati a vari livelli nelle organizzazioni ecclesiali.

Il «manifesto» di Ratzinger dovrà guidare la transizione ormai prossima dai due decenni di Ruini alla nuova stagione. Chiunque sia il successore del cardinale alla presidenza della Cei, difficilmente potrà prescindere dalla strada che ieri è stata tracciata.

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