Dal Pontefice una speranza per le donne

Daniela Santanchè*

Su un ruolo maggiore della donna nella Chiesa, Papa Benedetto XVI ha confermato in pieno la tesi sostenuta dall’allora Cardinale Ratzinger nella fondamentale Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo del 31 maggio 2002, quando Pontefice era l’indimenticabile Papa Giovanni Paolo II.
Pur riconfermando la chiusura verso il sacerdozio femminile, il Cardinale Ratzinger apriva in maniera davvero significativa nei riguardi dei diritti della donna così come ha ribadito parlando da Papa al clero romano, nell’incontro tenutosi presso l’Aula delle Benedizioni giovedì scorso.
Colpita com’ero stata da quella lettera, nelle ultime pagine del mio libro La donna negata ho dedicato qualche riflessione conclusiva sull’argomento che mi pare di straordinaria importanza per il mondo cattolico femminile. Sono le pagine che ho riscritto più volte, visto la delicatezza del tema e sulle quali mi sono consultata con esponenti di primo piano del Vaticano, della Chiesa e della società civile.
Del resto già nel lontano 1998, nel suo libro Maria Chiesa nascente Joseph Ratzinger affermava: «La perfezione della creatura in quanto creatura si realizza nella donna e non nell’uomo». Riconoscimenti e valutazioni ancora più approfondite poi con la lettera indirizzata ai vescovi, che spostavano ulteriormente in avanti le frontiere del ruolo della donna. Assegnandole non più solo il compito di madre e di custode della famiglia ma sottolineavano l’attualità dei valori femminili nella vita della Chiesa.
Raramente la Chiesa si era esposta in modo così aperto nell’elogio della donna. Essa, riassumo in breve alcuni concetti della lettera, non può essere considerata esclusivamente sotto il profilo della procreazione biologica, ma può realizzarsi nel mondo come elemento prezioso nel campo del lavoro e dell’organizzazione sociale. Anzi, aggiungeva sorprendentemente il futuro Benedetto XVI, «anche se la maternità è un elemento chiave dell’identità femminile, gravi possono essere le conseguenze dell’eccessiva esaltazione della fecondità biologica in termini vitalistici che si accompagnano spesso, si leggeva nel testo, a un pericoloso disprezzo della donna (...). In tale prospettiva si comprende il ruolo insostituibile della donna in tutti gli aspetti della vita familiare e sociale che coinvolgono le relazioni umane e cura dell’altro».
Bellissime parole, vero? Ma, all’interno della Chiesa? State a sentire cosa scriveva il futuro Santo Padre: «Per quanto riguarda la Chiesa il segno della donna è più che mai centrale e fecondo (...). Le donne svolgono un ruolo di massima importanza nella vita ecclesiale (...) contribuendo in modo unico a manifestare il vero volto della Chiesa, sposa di Cristo e madre dei credenti». Parole chiarissime. Un piccolo passo è stato fatto: la Chiesa si muove lentamente, ma si muove. Al punto che dall’aula paludata di Nervi, durante l’ultimo Sinodo, riecheggiano le parole di Madre Maria Regina Cesarato, superiora delle Pie discepole del Divin Maestro. La Suora, in qualità di uditore, pur non avendo diritto di voto, con voce forte e chiara aveva chiesto che il «principio mariano» venga valorizzato accanto, e non in subordine, al «principio pietrino». Il richiamo alla figura femminile di Maria, «costruttrice» della Chiesa al pari di Pietro, è stato evidente per i padri sinodali.


Ora le nuove parole del Papa sono il segno che, pur escludendo come del resto aveva fatto Papa Giovanni Paolo II le donne dal sacerdozio, una nuova strada si sta aprendo per arrivare anche ad affidare incarichi nelle diocesi anche a laiche. Per le donne un grande riconoscimento. Dal Papa un ulteriore lezione di coerenza che esalta il suo Pontificato.
* Coordinatore nazionale donne An

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