nostro inviato a Praga
A mezzogiorno in punto il silenzio carico di emozione della piazza del Castello è stato rotto dal suono di tutte le campane di Praga, subito seguito dallurlo di una sirena. Le migliaia di persone affollate davanti ai cancelli della residenza presidenziale hanno avuto un sussulto: era il momento solenne dellultimo addio a Vaclav Havel. Lo schermo piazzato allesterno del monumentale ingresso trasmetteva le immagini della funzione religiosa che iniziava nella cattedrale di San Vito: tra le navate gotiche i grandi della Terra partecipavano al commiato ufficiale. Ma sulla piazza due grandi ali di popolo dimostravano la profondità del sentimento nazionale nei confronti delluomo che 22 anni prima li ha liberati dallincubo della dittatura. Coppie giovani con bimbi anche piccolissimi sulle spalle, donne di tutte le età con le labbra strette a trattenere le lacrime, uomini improvvisamente un po più impettiti, alcuni con la bandiera, altri con la mano sul cuore.
Il governo ceco aveva proclamato tre giorni di lutto nazionale, ma non ce nera bisogno: qui il lutto per la morte dellex presidente dissidente è semplicemente naturale. Da moltissimi edifici del centro pendono bandiere nere affiancate a quella nazionale, sulle vetrine dei negozi e dei locali ci sono i ritratti di Havel listati anchessi di nero. La sera prima, fino alle undici, una fila continua lunga centinaia di metri si snodava nel freddo glaciale tra i grandi cortili del Castello: tutti aspettavano di avere accesso alla grande sala Vladislao, dove la bara con il corpo di Havel era visibile per lultimo saluto.
Ceravamo anche noi. Insieme ai praghesi abbiamo ricordato il poeta fattosi politico per affermare la grande verità che in quel mitico Ottantanove cambiò la storia del mondo: la politica non può essere disgiunta dalla morale, la dittatura non può prevalere quando un popolo si solleva. O, per dirla con Havel, «verità e giustizia devono prevalere sullodio e sulla menzogna». Abbiamo ricordato luomo che fino a un mese prima era in prigione per motivi di opinione e che si affacciò da un balcone sulla grande piazza Venceslao gremita allinverosimile per dire «Noi non siamo come loro!». Come i comunisti che avevano schiacciato i diritti di un popolo per 41 infiniti anni, uccidendo, incarcerando e costringendo i migliori allesilio. Ma quel grido voleva dire: noi non vogliamo vendette. Non ci sarà violenza, solo giustizia. Questo era Havel, e questa fu la sua Rivoluzione di Velluto. E molti piangevano in silenzio, ricordandolo. La messa solenne di ieri era celebrata dallarcivescovo Duka, che con Havel condivise il carcere. In prima fila anche diversi esponenti di Charta 77, il movimento che sfidò il comunismo quando era molto pericoloso farlo: Jan Patocka, filosofo illustre allievo di Heidegger allora 72enne, pagò con la vita durante un duro interrogatorio nel quasi generale disinteresse dellOccidente.
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