Si scatena una tempesta nei cieli padani, all'arrivo del Pordenone, reduce vittorioso da un match con Tiziano nella cappella Malchiostro del Duomo di Treviso. Il Cadorino è alle corde e l'insidioso Pordenone si abbatte su di lui con una furia incalzante. Non gli lascia spazio, domina con gli affreschi le pareti ai lati della scolastica Annunciazione di Tiziano. Tiziano ha istinto, e ha dimostrato di avvertire lo spirito dei tempi nell'Assunta per la Chiesa dei Frari, ma Pordenone ha l'esperienza nuova della Cappella Sistina, di cui ha interiorizzato, senza traumi, il rumore e la paura che accusò Raffaello vedendola di nascosto, grazie a Bramante che gli aperse la porta della Cappella Sistina in assenza di Michelangelo. Gli si rivelò un mondo nuovo, poco prima che arrivassero dal Nord a trovarlo, lui di carattere gentile, Lorenzo Lotto, Sebastiano del Piombo e il Pordenone.
Di Tiziano non sappiamo. Del passaggio di Pordenone abbiamo la prova nel potente affresco di Alviano, con la Madonna tra i Santi Silvestro papa e Girolamo, il contegnoso donatore e tre furiosi angeli musicanti. Il passaggio in Umbria impone un altro fondamentale incontro, quello con l'ariosa pala di Foligno di Raffaello stesso, nella quale si incrocia l'ampia libertà d'azione della Madonna con il bambino con un magico paesaggio che sembra dipinto da Dosso Dossi, il grande ferrarese, fratello di Pordenone. Il riscontro del capolavoro di Raffaello, consegnato nel 1512, è nella contorsione dei movimenti del bambino che sarà un codice per Pordenone già nella imponente pala di Susegana (1515-16), con le rovine antiche che sembrano memoria diretta di Roma, e poi nella Madonna della Loggia di Udine (1516), le cui ampie forme consuonano con l'affresco di Alviano, e, più avanti, pur nell'arcaismo della composizione, nella Pala di Torre di Pordenone (1520-21). Nonostante le molte perplessità della critica, questi riferimenti suggeriscono che il viaggio a Roma, così come l'affresco di Alviano, cadano verso il 1515, forse nell'immediato entusiasmo della visione del testo raffaellesco di riferimento per il mondo padano: l'Estasi di Santa Cecilia nella chiesa di San Giovanni in Monte, giunta a Bologna, con traumatici effetti, proprio nel 1515.
Viaggio certo per l'opera e per i fregi decorativi del castello di Alviano, ma per me, prolungato fino a Roma, per la tentazione irresistibile, in un uomo così volitivo, di essere al centro del mondo. Fermarsi ad Alviano sarebbe stato come, per un pittore del 1910, andare in Francia e fermarsi a Fontainebleau senza arrivare a Parigi. Psicologicamente impossibile. D'altra parte, quella stessa strada era stata percorsa pochi anni prima da un fratello spirituale del Pordenone, già in fuga da Tiziano, benché meno estroverso e pronto alla sfida che caratterizzerà invece tutta la vita artistica di Pordenone. Mi riferisco a Lorenzo Lotto, coetaneo e certamente amico di Pordenone, incrociato nella Marca trevigiana all'altezza della pala di Santa Cristina al Tiverone, databile al 1505; e già nel 1506 a Recanati per alcuni impegnativi lavori; e, prima di tutti, nel 1509 chiamato a Roma da Papa Giulio II per dipingere nelle stanze vaticane. Questo utile collegamento all'esperienza di un altro grande veneziano ci fa ritornare a Treviso, dove Pordenone, carico dell'esperienza romana, sfida Tiziano nella Cappella commissionata da Brocardo Malchiostro, cui Lotto aveva fatto un ritratto memorabilissimo: il giovane ecclesiastico, segretario del vescovo Bernardo De Rossi, del dipinto conosciuto come Giovane con la lucerna del Kunsthistorisches di Vienna.
Tutti questi incroci fanno capire la stretta intesa dei più grandi e giovani pittori di quel tempo, che si muovono negli stessi spazi: Tiziano, Lotto, Pordenone e certamente il più romantico e misterioso Giorgione. Ma, più degli altri, Pordenone si riporta a casa, proprio nella sua città, a Pordenone, a partire dalla pala di Susegana, e poi nella Madonna della Misericordia (1516) per il suo Duomo, ricco di prove giovanili, come gli affreschi con i mobilissimi Erasmo e Rocco, e infine nella Madonna della Loggia di Udine (1516), l'impeto michelangiolesco e la grazia raffaellesca, di cui è testimone pressoché in tempo reale. Eccolo allora, contro un pressoché inerme Tiziano, nella Cappella Malchiostro, iniziata nella primavera del 1519, con una Adorazione dei Magi, in cui, tra gli ariosi volumi dei panneggi, inserisce un'atletica figura di spalle, dalle forme possenti, presaga addirittura di Caravaggio che, certamente, nei suoi viaggi tra Lombardia, Emilia e Veneto, si fermò a pensare sul Pordenone. Nella cupola con il Padreterno, in un vento di nuvole e angeli, arieggia la Creazione di Adamo di Michelangelo. Il suo boato lascia nel silenzio la contenuta Annunciazione di Tiziano. Ci soccorre, per il confronto, l'attenta riflessione del Lanzi, atteso che, rispetto a Tiziano, Pordenone fu grande frescante, muovendosi in ampi spazi con impegno scenografico e teatrale: «ebbe allora un suo popolo che l'anteponeva a Tiziano: perciocché... non vi è cosa che tanto sorprenda la moltitudine, quanto il grand'effetto, e la magia del chiaroscuro; nella qual arte egli preluse al Guercino...».
E così, chiamato l'anno dopo a Cremona, Pordenone arriva come uno tsunami, e sconvolge il composto racconto sulle pareti della navata maggiore, concepito tra il 1506 e il 1519, da maestri grandi come lui, e forse meno esaltati: Boccaccio Boccaccino, Giovanni Francesco Bembo, Altobello Melone, Romanino. Romanino dipinge Cristo davanti a Caifa, la Flagellazione, l'Ecce homo, e nessuno aveva un temperamento e una passione più affini a Pordenone di Romanino. Nondimeno i massari della cattedrale nel 1520 gli ritirarono la commissione per altri tre arconi, e chiamarono il Pordenone, affidandogli, nella controfacciata, la Crocefissione, la Deposizione e il Compianto, dove il pittore, reduce dallo shock di Treviso, un altro ne imprime sulla parete più tempestosa. La più potente prima della passione di Mel Gibson. Per arrivare a questa impressionante teatralità occorre immaginare un'esperienza in ambito lombardo, sulla quale la critica non si è particolarmente soffermata. Credo infatti determinante l'incontro con un altro maestro in cui il Rinascimento si amplifica, fino a travolgere la misura e lo spazio con effetti speciali: mi riferisco a Gaudenzio Ferrari nella Cappella della Crocifissione al Sacro Monte di Varallo. «Gran teatro montano» lo chiamò Giovanni Testori, e gran teatro è quello che, con formidabili trompe-l'il, Pordenone inscena sulla controfacciata del Duomo di Cremona. Qui certamente entrò, e si confrontò con tanta potenza, Caravaggio di cui sarà importante, oltre all'influenza dei pittori bresciani, risalire a quella di Pordenone e di Tintoretto. Nella cattedrale di Cremona ammirò, turbato e sgomento, l'irruzione di Pordenone in quella dimensione che registra, meglio di ogni altro, Marco Boschini: «eccellente pittor, come savemo, pittor si generoso, e cusì pronto, che ha fato a fresco eccessi de stupori». «Eccessi», appunto, che ritroveremo a Cortemaggiore, e a Santa Maria di Campagna a Piacenza, poco lontano da Fontanellato dove, poco prima, si era esercitato il Parmigianino.
Oggi, oltre che nel percorso padano dei suoi cicli di affreschi, Pordenone si vede nelle magistrali pale d'altare a Pordenone, nella Galleria d'Arte Moderna: e almeno un'opera, in dialogo con Correggio, Moretto da Brescia, Lorenzo Lotto, Romanino, ha la potenza e la verità terribile per cui Pordenone fu ovunque, in Padania e infine a Ferrara, dove morì, chiamato da Ercole D'Este nel 1539: la Deposizione per la chiesa dell'Assunta di Cortemaggiore. Il Cristo è pietosamente deposto dai dolenti nel suo sarcofago. Le Marie raccolte si agitano come nel Compianto di Niccolò dell'Arca, mentre solitario si erge, nel suo dolore, San Giovanni. La Maddalena, come un animale ferito, si butta ai piedi di Cristo. Tutto avviene sotto una montagna, di indicibile potenza; e qui l'uomo di teatro prevale. Pordenone infatti non la dipinge ma la fa emergere, con un leggero rialzo d'ombra nel contorno, dalla tela grossa, con la tecnica cosiddetta della «tela risparmiata» che ha energia, brutalità. La stessa, anche materialmente, di un Sacco di Burri.
Nessuno prima di Pordenone aveva osato tanto, e soltanto Caravaggio oserà altrettanto nel suo grande telero con il Seppellimento di Santa Lucia per Siracusa. Pordenone si misurò, gareggiò con Tiziano, ma oggi la sua grandezza si misura soltanto con quella di Caravaggio.
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