Porsche-Vw, matrimonio in famiglia All’attacco il «panzer» anti-Gran Torino

Poco più di cinque mesi fa, aveva alzato bandiera bianca, annunciando di rinunciare alla superscalata, al take over del secolo nell’industria delle quattro ruote. Ma l’iperattivismo di Fiat, impegnata in grandi manovre da una sponda all’altra dell’Atlantico, deve aver convinto Porsche che non c’era altro tempo da perdere: la fusione con Volkswagen, di cui Porsche è già azionista di maggioranza, s’ha da fare, e in fretta. Così da creare un gruppo automobilistico di circa 6,5 milioni di unità prodotte, capace quindi di resistere alla pericolosa offensiva del colosso mondiale che nascerebbe da una possibile alleanza a tre fra Fiat-Chrysler e Opel. L’annuncio del merger è stato dato ieri da Porsche-Holding al termine di un incontro tenuto in gran segreto a Salisburgo tra le famiglie Piëch e Porsche, proprietarie di Porsche e indirettamente di Volkswagen.
Secondo indiscrezioni, prima della riunione, due erano le opzioni sul tappeto: o una vendita della Porsche a Volkswagen, o una fusione. Ha prevalso la seconda soluzione, sorretta da un aumento di capitale di Porsche nel 2009 e nel 2010 pari a 5 miliardi di euro che sarà sottoscritto al 100% dagli attuali azionisti. Porsche, attualmente, detiene circa il 51% del capitale Volkswagen, maggiore industria automobilistica in Europa. I membri della famiglia proprietaria «si sono pronunciati in favore della costituzione di un gruppo automobilistico integrato», precisa il comunicato diffuso a Zuffenhausen, quartier generale di Porsche. «Sotto la direzione unitaria di una holding dovranno essere attivi nella struttura finale i dieci marchi, ciascuno dei quali manterrà la sua autonomia», aggiunge il comunicato, spiegando che un gruppo di lavoro congiunto delle industrie dovrà, nelle prossime quattro settimane, «con il coinvolgimento decisivo del Land della Bassa Sassonia», che detiene il 20% di Volkswagen e una minoranza di blocco, «e dei rappresentati dei lavoratori di entrambe le aziende», presentare un piano d’azione sulla futura struttura del «gruppo comune». In base ai progetti messi a punto lo scorso anno, Porsche avrebbe dovuto incrementare entro la fine del 2009 la propria quota in Volkswagen fino al 75%. La crisi, tuttavia, aveva in seguito imposto un brusco stop ai piani di espansione: troppo rischioso, in un momento congiunturale estremamente negativo anche per l’industria automobilistica (che peraltro fino allo scorso settembre risentiva ancora negativamente dei picchi raggiunti dalle quotazioni dei carburanti), tentare una scalata. Pericoloso anche per un gruppo come quello di Zuffenhausen, una sorta di Ferrari in salsa tedesca, un marchio mitico per gli amanti della guida sportiva.
Nemmeno le automobili di lusso sono uscite indenni dalla peggior recessione del Dopoguerra, cosa mai accaduta in passato, quando il ciclo economico negativo impattava solo marginalmente sui bilanci delle case più blasonate. E Porsche, nell’ultimo scorcio del 2008, aveva già visto sui propri conti gli effetti della crisi, sotto forma di un crollo delle vendite sul mercato domestico e anche in quello statunitense, con utili scesi a due miliardi di euro a fine anno.
Ma con Fiat che incastra i vari tasselli per l’acquisizione di Chrysler (come l’ok del tribunale di Manhattan alla vendita all’asta delle attività dell’azienda di Detroit), attende nuovi abboccamenti con i tedeschi per il dossier Opel, e si dice interessata anche al marchio tedesco Saab, Porsche doveva forzatamente fare la mossa in direzione del gruppo di Wolfsburg.


Quale sarà, ora, la nuova mossa nel risiko dell’auto? L’attenzione si concentra sempre più sulla Germania (Bmw e Daimler dialogano da tempo), ma anche sulla Francia dove il gruppo Psa, dopo la recalcitranza della famiglia Peugeot a unirsi a Fiat, appare sempre più isolato, mentre Renault ha dalla sua l’alleanza in atto con Nissan.

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