Porto, è allarme giallo: crisi in arrivo dalla Cina

(...) ha firmato uno dei più duri j’accuse a una certa sinistra asserragliata nelle difesa dell’esistente. Non più dei lavoratori, ma dei vantaggi antistorici e sbagliati di alcune categorie di lavoratori: «Non ha più senso difendere i privilegi dei produttori, siano essi imprenditori o dipendenti».
Personalmente, non ho la minima idea di come voti Bruno Musso e, sinceramente, non mi interessa nemmeno molto. So solo che queste sono posizioni che dovrebbero essere il patrimonio comune della nuova Italia. Un’Italia dove si dovrebbero difendere davvero le fasce più deboli della società che quasi mai coincidono con quelle per cui si alza la voce o che alzano la voce, dai professori universitari ai dipendenti dell’Alitalia. E, su questo, a partire dalla sua esperienza personale di armatore in lotta continua con i camalli, Bruno Musso ha rotto con questo tipo di sinistra, ancora maggioritaria. Non con la cultura su cui si è formato che lo porta, gramscianamente (ma sull’espressione ci sono anche influenze di Gianbattista Vico e di Giacomo Leopardi), a citare l’«ottimismo della volontà» contrapposto al «pessimismo della ragione», con parole che suonano pressappoco così: «In questo momento, l’Europa soffre e l’Italia più di tutti. Ma, proprio come è successo anni fa al Porto di Genova, una volta toccato il punto più basso, proprio dal nostro Paese potrebbe partire una grande rinascita».
L’applauso che si alza dalla platea è lungo e quasi catartico, liberatorio. Un segno di speranza. Ed è bello che nelle prime file ad ascoltare ci siano Giovanni Calvini e Francesco Berti Riboli, ormai praticamente un Pacs, una coppia di fatto di Confindustria. La loro presenza, dopo tante polemiche (molte anche mie) sull’elezione e la squadra confindustriale, è un’ottima notizia. Un segnale di attenzione e di impegno che va a loro merito.
Ci vuole, ci vuole tutto, l’ottimismo della volontà. Anche ascoltando gli altri relatori: il presidente della Fondazione per la Cultura Luca Borzani, moderatore suo malgrado, firma un discorso onesto e anche autocritico; il numero uno di Esaote Carlo Castellano, sempre più giovane man mano che diventa più vecchio; e soprattutto Luigi Merlo, il presidente dell’Autorità Portuale.
L’inquilino di Palazzo San Giorgio - un vero e proprio secchione delle banchine, capace di studiare e di documentarsi, che sta lavorando bene - è diretto, schietto, ironico e tragico contemporaneamente. Soprattutto, Merlo, non nasconde i rischi per il Porto di Genova nei prossimi mesi. Ammettendo, con grande serietà ed onestà intellettuale, che le variazioni percentuali dei traffici non hanno particolare valore. Insomma, non era vero che il suo predecessore Giovanni Novi, che pure ha fatto molti errori in buona fede alla ricerca spasmodica della pace sociale, era il male assoluto per il Porto, come è stato ingiustamente dipinto. E non è vero che gli scenari sono rosei come vengono dipinti. Anzi. «Il problema - spiega Merlo - non sono le variazioni del due o tre per cento al mese. Il problema è che ci sono porti cinesi dove il segno meno è del 26-27 per cento. E, se le navi non partono, non arrivano nemmeno. Questa è una legge abbastanza matematica».
Parole serie che richiedono risposte serie. E una di queste risposte è il Bruco, un vecchio pallino di Bruno Musso. Il nastro che porterebbe le merci da Genova al Basso Piemonte, creando un retroporto in grado di trasformare davvero le nostre banchine nella porta d’Europa e di competere con i giganti della portualità come Amburgo, sembra l’uovo di Colombo. Il ragionamento di Musso è semplicissimo ed è anche un atto d’amore per la sua città che verrebbe liberata dal traffico pesante che - anche in presenza di un modesto aumento dei container - rischierebbe di uccidere definitivamente Genova.
Bruno Musso riesce a mischiare ironia e numeri, ideologia e buone letture, liberalismo e socialismo utopista di Owen e Fourier. Ma documenta i suoi ragionamenti con raffiche di dati. Quelli che testimoniano la progressiva sconfitta del Porto di Genova. E la speranza di raccontare un’altra storia. Soprattutto, Musso porta dalla sua un argomento fortissimo: «In un anno, con il Bruco che costa tre miliardi e mezzo si risparmiano due miliardi e mezzo. In un anno!». Poi, certo, i numeri vanno studiati e verificati. Ma l’unica certezza di Genova è che a furia di studiare e di verificare si rinvia alle calende greche, senza mai decidere. E, mentre non si decide, Genova muore.
Insomma, per una volta, la presentazione di un libro non è stata la presentazione di un libro. Ma un’occasione per dire e dirsi tante verità, necessariamente parziali, sufficientemente scomode, ruvidamente fastidiose. E la critica delle politiche di una sinistra che non ha avuto nulla di riformista che viene proprio da sinistra è qualcosa di una forza dirompente. Soprattutto, finalmente, si è sentito parlare di politica portuale fatta da operatori portuali e non da terzi, magistratura o stampa che siano.
L’incontro dell’altra sera a Palazzo Ducale potrebbe aver segnato un nuovo inizio.

Quantomeno questo è il suo mio e, credo, il sogno di tutti coloro che amano il porto e la città.
Altrimenti, sarà l’ennesima occasione persa. E della serata resterà solo il vestito di Costanza Musso. Elegantissimo, però.

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