Porto di Genova, le mani del Pd sulla presidenza

Con l’asse Vincenzi-Costa si schierano un senatore e un eurodeputato azzurri

Porto di Genova, le mani del  Pd sulla presidenza

da Genova

Se per simboleggiare i profili dei candidati alla presidenza del Porto di Genova - il più importante d’Italia, il secondo del Mediterraneo - i giornali pubblicano le foto di Larry Hagman-J.R. di Dallas e di Marlon Brando nel Padrino, è chiaro che c’è qualcosa che non va.
Soprattutto, perchè quelle foto sono tutt’altro che una forzatura giornalistica, ma rispecchiano alla perfezione le esternazioni del sindaco Marta Vincenzi (Partito Democratico) sui rischi che, a suo parere, correrebbero le banchine genovesi se vincessero due candidati che sono del suo partito, ma non sono il «suo» candidato: l’ex sindaco di Venezia, ex ministro delle Infrastrutture e eurodeputato del Pd Paolo Costa, che secondo lei incarna il modello di «porto-fabbrica, con incremento di posti di lavoro e dell’indotto. E che guarda all’Europa». Gli altri due candidati, anch’essi del Pd, l’assessore regionale Luigi Merlo e quello comunale (cioè della giunta dell’esternatrice Vincenzi!) Mario Margini, invece incarnerebbero da un lato il «porto stagno, tradizionale, sinonimo di stagnazione, di tavola imbandita senza posti in più e di mancato ricambio della classe dirigente per i prossimi vent’anni», dall’altro il «modello Montecarlo, di Genova da bere, un’alleanza di interessi finanziari e immobiliari. Modello di corto respiro a cui importa la nautica e che fa capire la morte del porto non dicendolo, ma con le sue scelte».
Insomma, volano gli stracci. E, complice la candidatura di tre esponenti del Partito democratico, saltano tutti gli schieramenti politici. Tanto che, con l’asse Vincenzi-Costa si schierano due azzurri come l’eurodeputato Mario Mauro e il senatore Gigi Grillo che attacca sui giornali il presidente uscente Giovanni Novi, certo non un uomo di sinistra. Che gli avrebbe replicato per le rime con una lettera avvelenata da un distillato di parole che suonano pressappoco così: «Caro Gigi, non ti sei occupato di porto per quattro anni, continua così».
In tutto questo, il mandato di Novi scade il 5 febbraio e il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, a cui spetta la scelta di concerto con il presidente ligure Claudio Burlando, non sa più che pesci pigliare. Burlando assicura al Giornale: «Tra il 7 e l’11 gennaio Bianchi darà il nome. Io assicurerò il mio ok a chiunque dei tre mi proponga e il 6-7 febbraio il nuovo presidente si insedierà in Porto. Non vedo scenari alternativi».
Burlando non li vede. Ed effettivamente, ieri, Margini era in pole position. Ma le prospettive dei bookmakers sono impazzite: si parla di prorogatio di Novi per 45 giorni; si ipotizza un commissariamento dello stesso Novi o dell’ex prefetto Romano; spunta anche il nome del senatore Pd Graziano Mazzarello o del camallo del Pdci Tirreno Bianchi, e le quote sono magmatiche, con una sola costante: Costa sembra fuori gioco. Con variabile giuridica.

Se l’eurodeputato si ritirasse, si aprirebbe un problema che non ha precedenti nella storia dei porti: se la terna di nomi prevista dalla legge diventa ambo, vale ugualmente o si deve rifare tutto?
Quel che è certo è che, fra ambo e terna, la sorte del Porto di Genova sembra una scommessa.

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