
Il corpo della contessa Francesca Vacca Graffagni Agusta viene ritrovato, straziato e decomposto, il 22 gennaio 2001 su una spiaggia della Costa Azzurra, a Cap Bénat. È il fatto che innesca la curiosità collettiva su uno degli episodi di cronaca nera più scandagliati, analizzati, sviscerati, ricomposti e mediaticamente discussi del nostro paese.
Una volta riconosciuto quel che resta della salma, attraverso le arcate dentarie (non era ancora tempo delle microanalisi di codici genetici) è certo il collegamento con la sparizione della donna da villa Altachiara, magione satrapica accomodata su uno strapiombo al di sopra della baia di Portofino. Da quella parete di roccia la contessa è precipitata per un'ottantina di metri, letteralmente polverizzandosi il cranio sugli scogli. Il voyeurismo italico non poteva chiedere di meglio. Così traspare dalla ricostruzione chirurgica che Valerio Aiolli compie di quell'avvenimento, e soprattutto del clima sociale e culturale che lo ha generato. Portofino blues (Voland, pagg. 368, euro 20) è una cavalcata attraverso tutto il Novecento, una dinastia, quella degli Agusta, produttori di armi, motociclette, barche da diporto, elicotteri; intossicata dal denaro, dal potere, dalla competizione, dal lusso a tutti i costi, dalla droga, dall'alcol, dalla bella vita. Che poi, bella vita: a quanto pare non basta essere ricchi e neanche molto ricchi per sentirsi invincibili, anzi. Francesca, orfana di madre a cinque anni, trapiantata da Genova a Milano, semplice commessa di negozio, alta, bella, coi capelli fiammeggianti, negli anni Sessanta aveva voglia di divertirsi, ma soprattutto di ascendere la scala sociale. Ci riuscirà, seducendo gli uomini e le donne giuste, imponendosi all'attenzione generale, quella che per tutta la vita cercò continuamente, in continuità con una visione dell'amore alquanto irrealistica.
Attraverso l'accumulo di fatti, aneddoti, descrizioni ambientali, reperti giornalistici e sensazioni personali, l'autore mette insieme un affresco impressionante. Quando usa lo zoom per inquadrare i personaggi da vicino, anche e soprattutto nei momenti in cui si ritrovano da soli (e qui la solitudine è un filo conduttore tenace), si avvale allo stesso tempo delle armi della fantasia e della verosimiglianza. Non possiamo sapere che un certo giorno la giovane amica e cosiddetta dama di compagnia della contessa, Susanna (Torretta), salendo in macchina abbia ascoltato un pezzo degli U2, ma sappiamo che quella canzone era una hit del momento. Non conosciamo l'esatto contenuto degli insulti che i protagonisti si scambiavano, ma devono essere stati molto simili a quelli riportati.
Le molte digressioni sono più che altro apparenti, dato che fanno riferimento a tutti gli elementi chiave della storia, sono come gli affluenti che si riversano nel fiume-corpo centrale della vicenda, alimentandolo. Aiolli ci guida su per li rami della famiglia Agusta, dal fondatore Giovanni, fino a Corrado, che in seconde nozze sposa Francesca, avendo già un figlio, Riccardo detto Rocky. Ma ci porta anche al paese d'origine di due domestici, la Polonia, e in Messico, da dove proveniva Tirso Chazaro, detto Tito, l'ultimo amante della contessa Vacca.
Perciò a un certo punto ho smesso di considerarlo un resoconto documentato e l'ho interpretato come un romanzo puro, che forse è quello che alla fine vuol essere. Certo, fortissimamente ispirato alla realtà. E per quanto molti personaggi principali siano definiti col solo nome di battesimo, vedi Maurizio e Susanna, sappiamo bene chi sono. Maurizio (Raggio) titolare del ristorante La Gritta di Portofino, poi amante della vedova, suo sostegno durante il declino psicofisico, è l'uomo spietato che tiene la barra dritta fin che può, si muove per il mondo a inseguire capitali nei paradisi fiscali, fa da sponda a Craxi detronizzato, quando c'è governa il caos della villa Altachiara, fulcro di maledizioni.
Mai nessuno che legga un libro, in quella villa. Il massimo dell'interesse culturale è, con tutto il rispetto, la Gazzetta dello Sport. Nessuno che esca per andare al cinema o a vedere una mostra. Sparsi per le trenta stanze, la piscina, le terrazze, gli ospiti ciondolano intorno alla mammella della contessa, in cerca di compagnia, di droga, di soldi. Soprattutto di soldi.
Nel prestigioso salone arredato da Mongiardino si tirano i piatti in testa disputando intorno ai numerosi testamenti che la contessa scrive e riscrive, nasconde e minaccia di strappare. La sua arma suprema e disperata di controllo, là dove tutto si vende e si compra.