Con il "Post", Dobbiaco abbatte la propria storia

Lo storico Hotel di epoca austroungarica colpevolmente soppresso dagli amministratori

Con il "Post", Dobbiaco abbatte la propria storia

Credevo che l'Italia fosse unita e che l'autonomia di alcune regioni e provincie volesse dire migliore e più diretto rapporto tra i cittadini e il potere, non l'arbitrio di azioni barbariche. Credevo che quello che vale per i monumenti in Sicilia dovesse valere anche per i monumenti a Bolzano. Nessuna persona di buon senso potrebbe immaginare che un privato, nella indifferenza della Regione e dello Stato, abbatta Villa Igea, uno dei grandi alberghi degli inizi del secolo scorso. Eppure a Palermo c'è la mafia. E tutti hanno condannato il sindaco Ciancimino che consentì, con un piano regolatore provvisorio, di distruggere palazzi e ville liberty per costruire squallidi condomini e palazzoni nell'area di viale della Libertà/Notarbartolo e in contrada della Olivuzza. Sembrava una stagione superata, e che non si potesse fare di peggio. E infatti nessuno potrebbe pensare di abbattere il Grand Hotel via Veneto a Roma, un'architettura costruita nei primi anni del Novecento. O il Grand Hotel Principe di Piemonte a Viareggio. O l'hotel Miramonti di Cortina. Lo stesso si può dire per il Grand Hotel Baglioni a Firenze e per l'Hotel Principe di Savoia di Milano. Oltre al rispetto della storia e della tradizione della villeggiatura in Italia, con le sue storiche architetture, la legge di tutela indica che «le cose mobili e immobili, indicate all'articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre 50 anni, sono sottoposte alle disposizioni della presente Parte fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2».

Quello che in nessun luogo d'Italia sarebbe, dunque, possibile, sta accadendo con inaudita violenza nella Provincia di Bolzano. È evidente a tutti che distruggere un dipinto di De Chirico, di Picasso o di Morandi del 1920 sarebbe inconcepibile, mentre può accadere tranquillamente che si abbatta un edificio di quello stesso anno, di 100 anni fa, con l'aggravante che questo avviene sotto gli occhi di tutti, nell'indifferenza delle autorità competenti, del presidente della Regione, degli Assessori, della Sovrintendente, e con la complicità del sindaco di Dobbiaco, Martin Rienzner, appena eletto ma già candidato a degno successore di Ciancimino. Ho cercato la Soprintendente di Bolzano Karin Dalla Torre Pichler, informando la sua segreteria della questione, e, pur essendo presidente di una istituzione trentina, non sono stato richiamato. Le autorità della tutela non hanno risposto. Non si vorrebbe crederlo ma, dopo anni di discussioni e in spregio della democrazia, si è iniziata la demolizione dell'Hotel Post nonostante una petizione firmata da 4500 cittadini, 1000 più degli abitanti della città di Dobbiaco. La questione non può riguardare solo un privato e l'amministrazione comunale, ma investe l'intera cittadinanza, la Provincia e la Regione, con un evidente interesse pubblico.

La piazza antistante la Chiesa barocca di Dobbiaco è un luogo che ha da cento anni - spazio pubblico di percezione immateriale condivisa, come ogni piazza storica, al di là della proprietà privata, come un palazzo in piazza delle Erbe a Verona - una dimensione estetica unitaria, con il vecchio ufficio postale, ora restaurato, e gli antichi alberghi di fronte all'Hotel. L'aspetto della piazza, ad evidenza, risponde ai canoni dell'Impero Austroungarico, e questa identità storica doveva essere salvaguardata nella sua unitarietà, compreso il volume e l'ingombro dell'Hotel Post. Lo capirebbe un bambino, che studia alla scuola elementare. Il sindaco di Dobbiaco no.

L'Hotel Post, costruito sui ruderi di un antico albergo subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, è una struttura alberghiera di indiscutibile pregio storico ed estetico, e attraverso il progetto originale ritrovato, oltre a fotografie e cartoline d'epoca, poteva essere restaurato e riportato alle condizioni originali, adeguandolo con delicatezza e rispetto delle norme alle necessità attuali. Il progetto autorizzato ne prevede la totale demolizione e una ricostruzione arbitraria. Primario doveva essere il rispetto dell'antica struttura alberghiera. Non si vuole credere che una città civile mostri un tale disprezzo per una storia secolare alla quale ha insistentemente richiamato le autorità locali un villeggiante di tradizione, il bolognese Francesco Vincenti, promotore della raccolta di firme: «L'aspetto austroungarico dell'albergo parla di un tempo che fu grandioso, e quell'architettura testimonia una cultura di grande importanza e segna l'epoca dei grandi investimenti alberghieri lungo l'asse della Sudbahn-Gesellschaft voluta dal Kaiser Franz Joseph». L'appello è accorato: «Voi dobbiachesi, altoatesini pusteresi, non provate un tormento solo all'idea di passare, con una delle tradizionali processioni, vestiti dei vostri bellissimi costumi e con le mandrie addobbate, davanti ad un cubo di cemento armato? Perché accanto all'impegno di mantenere intatto il valore delle grandi famiglie, degli antichi masi, di quella Verkaufte Heimat a voi sentitamente e logicamente tanto cara, non vedo corrispondere l'impegno di mantenere il paradiso dei pascoli, del sapere antico di costruire pur con l'adeguamento ai moderni confort di bioedilizia e bioenergetica? Quando si è salvato dallo sfacelo l'ex Grand Hotel avete scelto che quell'edificio fosse una risorsa; ma guardate che non c'è alcuna differenza fra lo splendido edificio progettato da Wilhelm von Flattich e l'architettura del Post: parlano la stessa lingua. E se è stato preservato il primo, perché non il secondo?». E ancora: «Guardatele, quelle eleganti finestre al pian terreno, la porta della Theiss'Stube sull'angolo verso la chiesa con quella cuspide a conchiglia, quelle raffinate lesene che corrono a scandire la partizione delle finestre, la mossa che fa il tetto... Come si può cancellare tutto questo con uno sventramento che ha un sapore politico e utilitaristico? Il progetto che l'immobiliarista vuole realizzare è, a mio giudizio e non solo, una pessima sostituzione. Lo sventramento non è necessario, la chiesa di San Giovanni non è mai stata visibile nella sua interezza. Nemmeno filologicamente ha senso questo intervento urbanistico! Una maggior visibilità del campanile è un pretesto che ha un costo estetico troppo grave. La valorizzazione dei monumenti non la si fa isolandoli dal contesto. È un concetto superato dal dopoguerra. Senza il Post accanto, la chiesa apparirà come qualcosa di avulso dall'ambiente nel quale è stata costruita. Siete coscientemente pronti per compiere un'azione così brutale?».

Vincenti ha combattuto in nome della ragione e della legge per salvaguardare uno spazio che è di tutti, e soprattutto degli altoatesini: «L'aspetto della piazza su cui insiste l'albergo possiede un'estetica ancora intatta, ed è un triste criterio quello che preferisce aperture prospettiche rettilinee con casermoni neo-razionalisti a destra e manca, balconi impilati, vialetti di quell'insopportabile gusto minimale sparso ormai a raglio nel nostro Paese. Tutti gli studiosi si pentono oggi degli sventramenti novecenteschi in città come la mia Bologna, come Firenze, come Roma quando, ad esempio, nel '36 Piacentini operò l'abbattimento del quartiere medievale antistante San Pietro per aprire una prospettiva che nessun Michelangelo, Raffaello, Bernini aveva desiderato e che segnò la perdita di quella visione celestiale che si aveva del colonnato e della Basilica uscendo da quei vicoli stretti. Quello che è perso lo è per sempre».

Dovrà essere un magistrato ora, in nome dello Stato, se esiste una legge, e le autorità devono vigilare senza mettere la testa sotto la sabbia, e se i cittadini devono essere rispettati, a verificare omissioni di controllo e abusi di ufficio, restituendo a Dobbiaco quella dignità che i suoi amministratori non le hanno garantito, avendo cancellato per sempre una pagina di storia, come se fosse passata una guerra. Tutte le energie si usano per la sanità fisica dei cittadini, e nessuna per i monumenti e per la sanità spirituale di una civiltà rivendicata in una autonomia vilipesa.

Identità, valori altoatesini, e poi distruzione. Nessuno abbia più il coraggio di dire, fra quelle autorità vili e colpevoli: «la bellezza salverà il mondo». Loro sono già morti, se mai sono stati vivi. Non li salverà certo la loro ipocrisia.

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