«AL POSTO TUO», RISATE INVOLONTARIE

Forse sbagliamo un po’ tutti a ritenere che la televisione non dia spazio come una volta al teatro. Chi ne è convinto non ha mai visto Al posto tuo (dal lunedì al venerdì su Raidue, ore 15,45), che viene spacciato per un programma televisivo ma in realtà è teatro allo stato puro, alla massima potenza, di grandissimo impatto, capace di suscitare indicibili emozioni, anche se nel caso specifico i termini «potenza», «impatto» e «indicibili emozioni» vanno intesi in senso non certo positivo ma valutandone gli effetti collaterali, non di poco conto, sull’equilibrio psicofisico del telespettatore. Spieghiamo innanzitutto velocemente, per chi non avesse mai visto Al posto tuo, di cosa si tratta. In questo programma la conduttrice Lorena Bianchetti, fattasi le ossa nelle trasmissioni religiose e ora avviata a nuova vita catodica, racconta storie annunciate come vere, frutto di lettere inviate alla redazione da persone comuni. Queste storie vengono sceneggiate e recitate in studio da attori seduti uno di fronte all’altro, chiamati a interpretare situazioni appartenenti a tragedie assortite (mogli tradite, figli abbandonati, drammi economici, dissidi insanabili, diatribe parentali, scontri generazionali). Resta misterioso il motivo per cui una persona comune, già vittima nella vita reale di vicende di tal fatta, senta il bisogno di descriverle a Al posto tuo che poi gliele riscodella in forma di psicodramma senza dargli neanche la soddisfazione di partecipare personalmente all’eventuale riscatto catartico. Ma resta ancor più misterioso il motivo per cui, una volta appurato come vengono recitate queste storie, altri si accalchino desiderosi di raccontare i propri drammi.

Probabilmente non è neanche colpa degli attori, costretti per interminabili minuti davanti a una telecamera che li riprende mentre litigano non solo tra loro ma anche con i testi che sono chiamati a recitare, con un’enfasi esasperata dalla lunghezza delle inquadrature, accompagnata da strabuzzamento di occhi proporzionale alle luci dello studio da reggere, rinforzata da scoppi di pianti che a volte sembrano risate mal trattenute, il che sarebbe pienamente giustificabile in quanto è difficile dialogare restando seri a lungo esclamando di continuo «Perché l’hai fatto? Perché? Perché? Perché?» (domande che costarono care a Antonio Socci, ma chissà perché non agli interpreti di Al posto tuo), oppure «Sono tanto felice di vederti», «Io tantissimo», «Anch’io davvero», il tutto seguito da pregnanti pause eduardiane o celentanesche che dir si voglia. Alla fine della recita c’è persino il pubblico in studio che applaude, e gli attori che ringraziano soddisfatti come sul palcoscenico. Volevamo il teatro in televisione? Eccoci accontentati...

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