Gianni Mozzo
«Il dolore non è un sintomo, è una malattia. Dobbiamo abituarci a curarla come si curano altre malattie». Con queste parole il professor Marco Pappagallo, che dirige il Centro di terapia del dolore del Beth Israel Hospital di New York, ha aperto il dibattito sul dolore oncologico, svoltosi nei giorni scorsi a Milano. Pappagallo ha voluto ricordare tutti i progressi fatti negli ultimi ventanni nella guerra al dolore: progressi, purtroppo, differenti da nazione a nazione.
La situazione italiana è stata illustrata dal dottor Furio Zucco, presidente della Società italiana di cure palliative, nata nel 1986 e cresciuta in termini quantitativi e qualitativi, svolgendo una funzione sempre più importante nella formazione dei medici e degli operatori sanitari. «Anche se essi sanno che non è possibile arrivare alla guarigione», ha detto Zucco «devono sentire il dovere di fornire a tutti i malati la liberazione dal dolore».
In Italia la fascia di persone che deve affrontare il problema del dolore è molto estesa: nellarea oncologica sono più di duecentocinquantamila. Cresce lattenzione verso questo grave problema, crescono gli Hospices ma si incontrano difficoltà nel consumo dei farmaci oppiacei (gratuiti da questanno). Oggi gli oppiacei rappresentano soltanto lo 0,2 per cento della spesa farmaceutica: siamo agli ultimi posti, come italiani, nella classifica internazionale. Agiscono fattori culturali, basati su antiche paure e diffidenze. Il dolore che affligge il paziente oncologico è cronico, con picchi molto intensi. La definizione è quella di «Dolore episodico intenso» (Dei) e in molti casi le crisi sono devastanti. Durante lincontro di Milano è stato presentato un nuovo principio attivo (nome chimico: fentanil), che associa lelevata potenza analgesica alla rapidità dazione.
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