«Potrei andare al gay pride ma non sfilerò mai in slip»

L’aspirante sindaco confessa a «la7» che invidia alla Moratti il marito ricco

Gli piacerebbe «essere alla testa del Gay Pride» ma «senza travestimento». È l’unica notizia meritevole di segnalazione della chiacchierata televisiva di Bruno Ferrante con Daria Bignardi. Il resto? Davvero monotono e senza fantasia l’aspirante sindaco del centrosinistra che, ieri sera, dagli schermi de «la7» ha raccontato una serie di luoghi comuni: dai «diversi che non devono essere considerati tale» alla Milano che «vorrebbe trasformare in Barcellona» passando per la «legalità che va di pari passo con la solidarietà». Tutto come da copione.
Tranne qualche dettaglio di troppo, forse aggiunto per tentare di farsi più bello con la platea della sinistra del politicamente corretto e dei buoni sentimenti. Un esempio? Il Leoncavallo: «L’ho frequentato più volte per capire i giovani e il loro mondo». Peccato che Daniele Farina, storico portavoce del centro sociale, in quel di via Watteau adesso e di via Leoncavallo prima, Ferrante, l’abbia visto «una-volta-una». Vabbè, resta sempre quell’eskimo che, secondo la sua nota biografica online, aveva a bordo della cinquecento su cui, Ferrante, allora studente di giurisprudenza sbarcò da Pisa a Pavia. Eskimo che, parola del suo portavoce, era solo un’immagine letteraria del tempo perché, lui, Ferrante, a Pisa non manifestava ma studiava. Ma l’aspirante sindaco intervistato da Daria Bignardi smentisce: «Sono sceso in piazza. Ho visto il Sessantotto, il movimento studentesco ed ero dalla parte dei giovani. No, Massimo D’Alema non l’ho conosciuto a Pisa». Verrebbe voglia di fare zapping, ma Ferrante preannuncia che, da sindaco, lui «non sfilerà in mutande di cachemire». Come fece Albertini. Già, l’umorismo non è il suo forte e ammette di essere sempre ingrugnito, «sorrido a fatica, devo cercare di sorridere un po’ di più perché è così bello sorridere».
Ma subito dopo, incalzato dalla Bignardi, l’ex prefetto ammette che a Letizia Moratti «invidia il marito petroliere», che quel 4 novembre dell’anno scorso in cui accettò di correre per il centrosinistra accettò anche un invito a casa Moratti e che alla mattina dichiara di volere «il ticket per le auto che entrano a Milano» e la sera, davanti alle telecamere, afferma di essere «contrario». Scenetta che, oggi, ripeterà al mercato di Senigallia. Lì tra i banchi degli ambulanti regolari e di quel mondo dell’abusivismo che da prefetto «ha tollerato» dirà corna e peste degli abusivi pur di raccattare consensi. Come fatto ieri all’incontro con i coordinatori dei sindacati di base che l’hanno applaudito «perché Ferrante assicura che i precari continueranno a lavorare in Comune». Non la promessa di un miglioramento delle condizioni contrattuali bensì la garanzia che, in futuro, se il centrosinistra vincesse le amministrative per i precari non si cambia. Promesse elettorali.

Elenco interminabile che si allunga da quando lo staff dell’aspirante sindaco ha perso uno spin doctor di peso come Marco Marturano, docente di tecniche della comunicazione allo Iulm che ha accompagnato alla vittoria non solo Filippo Penati ma anche Walter Veltroni e Massimo Cacciari.

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