Povia, il Garrone del pop che si sente allievo a vita

Scontro finale a Sanremo tra il direttore di Raiuno e il conduttore del Festival

Nostro inviato a Sanremo

Giuseppe Povia è il Garrone del pop italiano: è un bravo ragazzo, dice cose buone e nessuno gli può rimproverar nulla. È arrivato a 32 anni (lui diceva: «Ne ho sedici in euro») facendo il cameriere con la terza media senza lamentarsi troppo se suo padre era «un fruttivendolo che a un certo punto è fallito». Ora, che alla sua età ha aggiunto solo un euro, ha vinto il Festival con Vorrei avere il becco e, in mancanza di polemiche, ha dovuto inventarsele da solo. Sabato notte, stravolto e lacrimoso, se l’è presa – anzi per lui l’ha fatto il manager Angelo Carrara, che è una colonna della musica italiana – con chi lo definì un cantante da Zecchino d’oro. E anche ieri ha ripetuto che «se facessi davvero canzoni così, non avrei vinto il Festival». Non è particolarmente bello, anche se piace alle ragazzine. Ha i capelli lunghi ma ordinatamente raccolti. È stato vaccinato dalla vita a Milano ma ora abita all’Isola d’Elba. Azzecca i congiuntivi ma non sceglie verbi altisonanti. E la sua vittoria è un risarcimento perché la canzone I bambini fanno ohh è la più venduta dell’anno e nel 2005 le hanno vietato il Festival solo per i garbugli del regolamento: era già stata cantata in pubblico. Di venire dalla plebe – in senso simbolico perché la plebe non esiste più – Povia si fa un vanto e difatti la prima cosa che ti dice è «io sono arrivato a Sanremo senza macchinoni». Insomma è il contrario di Franti nel Cuore di De Amicis, quello che «quando uno piange, egli ride».
Il Garrone del Festival si è fatto conoscere tre anni fa al premio Recanati con Mia sorella, dedicata, appunto, alla sorella bulimica. Lui, ora che è nella storia della musica italiana, sottolinea con orgoglio che «a Recanati ho vinto con i voti di giurati come Claudio Baglioni, Alda Merini, Fernanda Pivano» e lo fa come uno studente bocciato dai maestrini ma poi promosso dai professoroni. Povia non sarà mai un professorone, è un allievo a vita e questa è la sua forza. L’altro giorno qui a Sanremo il giornalista dell’Unità lo ha accusato di aver portato una canzone contro il divorzio, ma non c’era neanche bisogno di una risposta: bastava vedere lo sguardo sconsolato per capire che a Povia neppure passava per la testa un’idea così. «Io non faccio politica», dice, non fa giochetti, non ha mezzi fini, magari non cita Tolstoj ma neppure Machiavelli. Per dire, il suo nuovo ciddì ha diciotto canzoni e si intitola I bambini fanno ohh, la storia continua. E in quello dopo la numerazione dei brani partirà dal 19 perché, lui spiega, «faccio come Harry Potter». Ecco. Dice: «Io sto con una ragazza da dodici anni e la amerò per sempre perché per me accontentarsi significa essere contenti».

E quando Virna Lisi lo ha baciato dopo la vittoria, lui ha dedicato il premio ai suoi genitori, «che sono insieme da 40 anni ed è da molto che non li vedo scambiare un bacio». E poi ci sarebbe anche qualcuno che lo rimprovera, pensate un po’.

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