Pozzi e D’Abbraccio, ecco la «strana coppia» al femminile

Pozzi e D’Abbraccio, ecco  la «strana coppia» al femminile

Amiche nella vita, conviventi forzate sulla scena. Elisabetta Pozzi e Mariangela D’Abbraccio debuttano stasera al Teatro Politeama con «La strana coppia» di Neil Simon. La versione femminile del celebre testo di cui tutti ricordano la trasposizione cinematografica del 1968 con Jack Lemmon e Walter Matthau, e che fu lo stesso Simon a scrivere vent’anni dopo la prima, fortunatissima stesura. «Abbiamo ambientato la commedia nel presente, per meglio comunicare l’attualità delle situazioni e per favorire quel processo di simpatica immedesimazione che spesso si innesca nel pubblico - dice il regista Francesco Tavassi - un capolavoro di divertimento intelligente».
Belle e brave si annunciano le due protagoniste che hanno già riscosso applausi negli altri teatri italiani dove la commedia è stata rappresentata. Mariangela è Florence, ritratto della perfetta donna di casa, esemplare moglie e madre, piena, però, di nevrosi. Elisabetta è Olive, manager, divorziata, fondamentalmente sola, che si trova a dover fare i conti con una coinquilina con troppe fissazioni.
Cosa c’è di Mariangela e di Elisabetta nei vostri personaggi?
D’Abbraccio: «Io sono il Jack Lemmon della situazione: una casalinga nevrotica piena di tic, e di disturbi psicosomatici, che invade la casa dell’altra perché cacciata da marito. Ma alla fine lo sarà anche dalla sua amica. È una donna retrò, all’antica, doveva vivere in altri tempi, e devo dire che in parte la maniacalità per la pulizia mi appartiene, credo che l’ordine esteriore sia anche specchio di un ordine interno. E poi di lei ho il sentire fisicamente gli acciacchi. Forse è un atteggiamento tipico degli artisti, ma di certo a me appartiene».
Pozzi: «Di me Olive ha poco e niente, e credo che soltanto casualmente gli attori assomiglino ai personaggi che si trovano a interpretare. Lei è una donna che ha alle spalle un divorzio, vive in un caos totale. Ma devo dire che il testo di Simon è scritto talmente bene che è sempre attuale, reso con molta leggerezza: basti dire che una signora del pubblico è venuta a dirmi che pezzi di quella storia sembravano la sua vita».
Coinquiline sulla scena e amiche nella vita. Senza rivalità?
D’Abbraccio: «Ci dicono che la nostra intesa sulla scena sia molto coinvolgente, quasi magica. Da tempo stavamo cercando un’altra occasione insieme, dopo aver portato in teatro Maria Stuarda. Ed è stato il nostro produttore che ci ha coinvolto un questa esperienza della commedia. E, devo dire che il pubblico apprezza particolarmente lo spettacolo. Forse una ha quello che l’altra non ha... ci dicono che sembriamo una coppia destinata a diventare storica nel teatro. Certo l’amore per questo mestiere è una matrice che ci lega».
Pozzi: «Il nostro è un sodalizio direi, mi piace molto riuscire a condividere il palcoscenico con Mariangela, ci dicono che si crea un’alchimia in scena. E non è vero che è perché siamo legate dall’amicizia, dividere il protagonismo sulla scena è difficile, ma credo che sia la condizione essenziale per fare un buon lavoro. Non mi piace stare in compagnie dove l’elemento forte è uno solo. E qui c’è un mistero che si rinnova in scena, non certo solo perché siamo diverse fisicamente: abbiamo anche modi diversi di recitare. Ma è una complicità che emerge».
Una dica un pregio dell’altra.
D’Abbraccio: «In scena Elisabetta si dà tantissimo e dà tantissimo, come se fosse ogni volta l’ultima volta che sta sul palco. La sua è una profondità straordinaria. E poi ci sentiamo sempre, è veramente un’amica con cui parlare e che dà ottimi consigli».
Pozzi: «Ha fatto del lavoro il punto centrale della sua vita, senza tralasciare il resto. In questo siamo simili, abbiamo due mariti che ci stanno vicini, il suo è regista, il mio musicista, e quindi diamo tutto al nostro lavoro senza mettere in secondo piano la vita privata».
Un difetto.
D’Abbraccio: «Come tutte le persone intelligenti è un po’ volubile. Direi imprevedibile, ecco».
Pozzi: «Ha molta paura delle malattie, fa sempre dal medico, è un po’ ipocondriaca. Ma forse questo più che un difetto per chi le sta vicino è un malessere per lei, ne risente la qualità della sua vita».
Sarete a Genova, al Politeama, fino a domenica. Com’è il pubblico genovese?
D’Abbraccio: «Sono napoletana e amo le città di mare, trovo che Genova sia una città che, avendo creato molti artisti, nella musica e non solo, abbia un pubblico molto esigente che sa dare molto. Lo so perché sono venuta spesso, e ultimamente anche per il festival dell’eccellenza al femminile dove ho vissuto una serata magica».
Pozzi: «Io sono nata a Genova e le devo la mia formazione. Vengo volentieri perché c’è mia mamma che mi vede poco, naturalmente.. Per quanto riguarda il pubblico a teatro devo dire che è come un po’ dappertutto, il pubblico è diminuito, i teatri sono un po’ più vuoti.

Ma la scorsa estate ho avuto un’esperienza straordinaria a Siracusa dove ho interpretato Medea: ebbene in quell’occasione il pubblico è cresciuto in maniera vertiginosa e molti ragazzi venivano di nuovo a teatro dopo la prima sera. Ciò, secondo me, significa che se c’è emozione e grande qualità dei testi e della regia oltre che degli interpreti, il pubblico torna».

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