Il Prc vuole rifondare il Dpef E il governo blinda la manovra

I comunisti: troppi 35 miliardi. Liberalizzazioni e «Grande fratello fiscale» voluto da Visco, verso il voto di fiducia

Antonio Signorini

da Roma

Pressioni continue di Rifondazione comunista affinché si riduca l’entità della Finanziaria 2007 così come è prevista dal Dpef e un assalto di emendamenti alla manovra. Tanti e troppo allettanti anche per alcuni senatori della maggioranza, tanto da spingere il governo all’ennesimo voto di fiducia. Il passaggio parlamentare del Documento di programmazione economica e finanziaria e della manovrina bis sta mettendo a dura prova il governo e la coalizione che lo sostiene.
Il testimone del «no» alla linea del rigore, inaugurata da un’intervista al Riformista al ministro Paolo Ferrero, è passato al capogruppo del Prc in commissione Bilancio della Camera Andrea Ricci. Quando si tratterà di stilare la risoluzione di maggioranza al documento, spiega, Rifondazione comunista chiederà di dimezzare la manovra per il 2007 che dovrebbe essere di 35 miliardi di euro, spalmandola su due anni. Se, come probabile, l’Unione europea non lo permetterà, assicura, ci sarà comunque spazio per ridurne l’entità. Questo, ha spiegato Ricci, perché «ci potrebbero essere sorprese gradevoli» sul fronte dei conti pubblici. E quindi, la correzione da 20 miliardi potrebbe essere ridotta. Anche i 15 miliardi di interventi per lo sviluppo, secondo Rifondazione comunista, andrebbero rivisti al ribasso. Senza rinunciare ad altre misure fiscali come l’innalzamento delle imposte sulle rendite finanziarie e delle aliquote sui redditi più alti. In ogni caso Rifondazione comunista non farà barricate tanto sul Dpef, quanto sulla Finanziaria. E in quel caso, assicura Ricci riprendendo l’ultimatum di Ferrero, non ci sarà un «rischio dissidenti» come sul decreto di rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan, ma quello di «un no del Prc nel caso di una non totale condivisione dell’impianto della manovra».
Nodo da sciogliere tra settembre e la fine di dicembre, quindi. Per ora gli sforzi del governo sono concentrati sulla manovrina bis che ieri è approdata all’aula del Senato. La maggioranza ha chiesto e ottenuto dalle opposizioni il ritiro della gran parte degli emendamenti. La Casa delle libertà ne presenterà una settantina (prima erano 600) e ha assicurato che non farà ostruzionismo. Si sono create, insomma, le condizioni per una votazione senza ricorso alla fiducia. E ieri l’orientamento della maggioranza sembrava essere proprio questo. La decisione ufficiale ci sarà solo stamattina dopo un vertice tra l’Unione e il governo. Ma già ieri nell’esecutivo e nella maggioranza si dava per scontata una blindatura della manovra. In altre parole il decreto, che comprende la mini correzione dei conti, le liberalizzazioni di Pier Luigi Bersani e il giro di vite fiscale di Vincenzo Visco, sarà modificato da un maxiemendamento sul quale sarà posta la fiducia. A spingere verso questa ipotesi sono soprattutto i due ministeri maggiormente interessati al provvedimento, quindi lo Sviluppo economico di Bersani e quello dell’Economia, in particolare per quanto riguarda la parte fiscale stilata dal viceministro Vincenzo Visco. La ragione la spiega una fonte della Cdl: Ci sono senatori della maggioranza - assicura - che sono disposti a votare i nostri emendamenti. A partire dalla parte fiscale.
Ieri, comunque, la maggioranza del Senato ha retto. Le pregiudiziali di costituzionalità presentate dalla Casa delle libertà sono state respinte. I senatori del centrodestra hanno ribadito le critiche al decreto, in particolare sulla parte fiscale ribattezzata «il grande fratello». L’azzurro Maurizio Sacconi ha richiamato l’attenzione sulle norme in materia di trasmissione dati da parte di operatori finanziari e ha fatto l’esempio delle banche, che dovranno spiegare a che titolo sono transitati i soldi dei clienti, senza lasciare a questi la possibilità di un contraddittorio.


Il senatore di An Mario Baldassarri ha sostenuto che la manovra può configurare «il reato di falso in atto pubblico». Il riferimento è alla vicenda dell’Iva sugli immobili. Il governo ha sbagliato a calcolare le entrate attese e ha fatto perdere a 500mila risparmiatori 1,4 miliardi di euro. «Se ne deve occupare la Consob».

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