Venezia Democrazia contro capitalismo sarebbe un titolo più chiaro che Capitalism: A Love Story, il film-documentario di Michael Moore più atteso di questa Mostra. In effetti è altra musica rispetto a ciò che sè visto finora.
La materia è ampia e offre, a uno spirito arguto come quello del regista di Bowling a Columbine e September 9/11, occasione di amareggiare divertendo.
La raffica di casi umani tristi o tristissimi, degni talora della Londra della rivoluzione industriale descritta nei romanzi di Charles Dickens, si snocciola alternato a osservazioni sui paradossi della libertà, quando essi si risolve nella libertà della volpe nel pollaio.
Fra i casi citati, quello relativamente noto dei piloti della compagnie aeree, largamente iscritti nelle liste di povertà per avere assistenza, condizione pericolosa non solo per loro, dato il mestiere che fanno.
Meno nota la consuetudine, anche di grandi e grandissime compagnie, di assicurarsi contro la morte i dipendenti di qualsiasi età e livello: così guadagnano più dalla loro fine, meglio se precoce, che da una lunga fedeltà aziendale. E naturalmente alle famiglie non va nulla di quei proventi.
Moore indica le principali aziende che lucrano anche così (cè il Gotha venale) e ne trae le logiche conclusioni: che è un processo in atto perché il potere politico è eclissato da quello privato. Questultimo ha i suoi teorici, che ormai chiamano il capitalismo, pari pari, plutocrazia, come fa uno dei direttori del Wall Street Journal. Che lo fa con orgoglio, non con ostilità.
Rimedi? Moore è un buon documentarista cinematografico. Non ci vuol molto oggi, negli Stati Uniti e altrove, per esserlo, con le tv che distolgono lattenzione del pubblico da ciò che conta.
MC
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