Prefetture senza controllo sugli immigrati

I lavoratori coinvolti erano stati «affittati» allo Stato da agenzie interinali

Prefetture senza controllo sugli immigrati

Vendevano i permessi di soggiorno agli immigrati: 2mila euro ogni permesso. E lo facevano quasi alla luce del sole nel cuore dell'amministrazione dello Stato a Milano, la Prefettura di corso Monforte. Ma i cinque arrestati e i sette indagati dalla Procura di Milano non potranno venire accusati di corruzione. E per un motivo quasi banale. In base al codice penale, a rispondere di corruzione possono essere solo i pubblici ufficiali o gli incaricati di pubblico servizio. E invece per la legge gli inquisiti dell'inchiesta milanese non sono né l'uno né l'altro. Sono dei privati cittadini. Anche se lavoravano in Prefettura.
Come sia potuto accadere che dei privati cittadini si siano ritrovati dietro lo sportello di un ufficio pubblico (e di un ufficio delicato come lo Sportello unico per l'immigrazione) è un pasticcio tutto italiano. Perché il problema riguarda buona parte delle prefetture, investite alla fine del 2005 da un carico di superlavoro cui non erano assolutamente in grado di fare fronte con le loro forze. Colpa della norma che attribuiva agli Sportelli unici per l'immigrazione l'improbo compito di raccogliere non solo le domande degli stranieri destinati a entrare nel paese con i flussi (cioè le quote di permessi assegnate ad ogni paese in base ad accordi bilaterali con l'Italia) ma anche di quelli destinati a vedersi rifiutare la domanda per eccesso.A Milano questa modifica ha portato da 4mila a 36mila le domande da esaminare. Senza che agli Sportelli venisse assegnato un solo impiegato in più né che venisse autorizzata una sola ora di straordinario.
Così, per aggirare l'ostacolo, si è fatto ricorso ai lavoratori interinali, quelli piazzati a tempo determinato dalle agenzie per il lavoro. Nessuno sa come siano stati scelti questi lavoratori, se qualcuno si sia reso conto che era necessaria una selezione un po' più rigida che per l'assunzione in un call center o in un supermercato. Sta di fatto che in alcune realtà, come Roma, l'impiego degli «esterni» allo Sportello per gli immigrati non ha dato alcun problema: «Magari siamo stati fortunati - dice il prefetto della Capitale, Achille Serra - ma di sicuro nei nostri uffici, sottoposti a un carico di lavoro impressionante, gli assunti a termine sono sempre stati affiancati al nostro personale e a quello della Finanza, e hanno avuto in carico il lavoro meramente esecutivo».
Ma se a Roma tutto è filato liscio, a Milano si è innescato un valzer di tangenti quasi alla luce del sole. La Procura ha ricostruito il tariffario voce per voce. All'immigrato l'ingresso in Italia costava attorno ai 6mila euro: un pacchetto completo che comprendeva viaggio, sbarco in città, assunzione fasulla e permesso di soggiorno altrettanto fasullo (che in genere veniva realizzato sostituendo il nome del clandestino a quello del legittimo beneficiario: e proprio dalle proteste di uno di questi è nata l'indagine). Di questi, 2mila erano destinati in specifico al permesso di soggiorno, in tasca alle impiegate dell'ufficio ne finivano tra i 750 e i mille. Il giro d'affari, insomma, era più che rispettabile: tanto che al momento degli arresti in casa di una delle indagate sono stati sequestrati decine di migliaia di euro. Eppure tutti schiveranno l'accusa di corruzione. A meno che non emergano complicità nel malaffare di funzionari della prefettura o delle forze di polizia: ma di questo, tengono a precisare gli inquirenti, non è emersa traccia.
La Prefettura di Milano, dal canto suo, sostiene che in realtà «nessuno dei beneficiari delle autorizzazioni illegittime ha potuto usufruire del regolare permesso di soggiorno» e che comunque le illegalità sono venute alla luce proprio grazie ai controlli interni, «erano emerse da qualche mese irregolarità e falsificazioni su un numero limitato di richieste. La Prefettura ha immediatamente interessato l'autorità giudiziaria, alla quale sono stati evidenziati i fatti anomali».

Peccato che un campanello d'allarme fosse suonato già oltre un anno fa, quando da alcune segnalazioni era scaturita una prima indagine della Procura: che si era sentita rispondere che in corso Monforte tutto andava nel migliore dei modi.

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