Preghiera di Tettamanzi «La vita di don Luigi una porta, mai un muro»

«Una porta e non muro è stata la vita di monsignor Padovese». Così l’ha voluto ricordare l’Arcivescovo di Milano, il Cardinale Dionigi Tettamanzi, nel suo intervento alla fine della processione del Corpus Domini a cui ha partecipato anche il sindaco Letizia Moratti. Al vicario apostolico dell’Anatolia assassinato ieri l’arcivescovo ha voluto dedicare un pensiero «commosso e sgomento» rivolto «a un figlio della nostra terra - ha detto - che ha servito con dedizione in Turchia il Vangelo della pace e della misericordia». Per tre volte il Cardinale ha definito la vita del missionario «porta e non muro». «Una vita spesso sotto scorta eppure così libera di annunciare il Vangelo in terra arida». Le parole dell’arcivescovo sono state salutate dai tantissimi presenti, tra cui alcuni cappuccini, ordine di cui faceva parte monsignor Padovese, con un lunghissimo applauso. La notizia dell’omicidio ha scosso Milano. Tutti conoscevano il grande impegno che il vescovo in veste di presidente della Conferenza episcopale turca, profondeva da sempre nell’ecumenismo e nel dialogo con l’Islam. Una missione importante che però non gli aveva mai fatto perdere il legame con la con sua città. L’ultima volta era tornato una decina di giorni fa. Il 23 maggio quando aveva anche celebrato la messa cresimale in una parrocchia di Lecco. E qualche giorno dopo, a Roma, aveva visto l’arcivescovo, il cardinale Dionigi Tettamanzi, del quale era amico. Tornava abbastanza spesso nella città dove era nato nel 1947 perché qui aveva la famiglia: la mamma, morta tre anni fa, il fratello Sandro con la moglie Liliana. «Quel che è successo non ce lo aspettavamo - ha spiegato la cognata - è una cosa che nessuno si aspetta». E questo anche se in Turchia i religiosi cattolici hanno corso più di una volta pericoli. «Aveva avuto la guardia del corpo - ha sottolineato Liliana - ma adesso era tutto tranquillo e aveva rinunciato. Per lui la Turchia era terra di missione, era contento». E proprio per la sua missione aveva imparato il turco che usava per celebrare e anche per questo la gente lo stimava».
In diversi lo ricordano nella parrocchia della Santissima Trinità, non lontano dalla Chinatown di Milano, dove era cresciuto e dove ancora passava ogni volta che rientrava in città. «Io sono qui solo da sei mesi - ha spiegato il parroco don Mario Longo - l’ho visto una volta era rimasto molto legato alla parrocchia». Così legato che in zona si ricordano anche di Murat, l’autista accusato di averlo ucciso. «So che lo aveva aiutato dandogli un lavoro - ha aggiunto don Longo -. È stato un gesto di follia che nulla ha a che fare con Israele o con l’Islam». «È stato a Milano più di una volta, era un bravo ragazzo. Pare fosse depresso» ha confermato la cognata chiedendo ora un po’ di tranquillità per sé e soprattutto per il marito.
La figura di monsignor Padovese è stata ricordata anche dal sindaco: «Ho appreso la notizia con dolore e sgomento- ha detto il sindaco Letizia Moratti- Era un milanese autentico un testimone di pace, un amico della libertà. Milano oggi è nel dolore. Sono vicina con tutta la Città al dolore dei famigliari, del Santo Padre Benedetto XVI, del cardinale Dionigi Tettamanzi, di tutta la Chiesa.

La tristezza di Milano è oggi mitigata da due consapevolezze: l’orgoglio per l’altissima testimonianza spirituale e civile di monsignor Padovese e la convinzione che la sua luce continuerà a brillare, generando frutti di pace e di amore in Turchia e in tutto il Medioriente».

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