Roma Chi è senza peccato, politicamente parlando, scagli la prima pietra. Silvio Berlusconi non dice proprio così. Si ferma forse un attimo prima, cosciente che con il parallelo biblico avrebbe gettato solo benzina sul fuoco. Però, rimane convinto che «in Italia non c’è nessuno che si possa considerare super partes». Figuriamoci una Consulta che agisce come organismo «politico». Così, nonostante si sforzi nel tenere un po’ a freno l’istinto, due giorni dopo la bocciatura del Lodo Alfano, il Cavaliere ci riesce a metà.
E ai microfoni del Tg5, così come nella sala stampa di Palazzo Chigi, il capo del governo, tenendo bene aperta una finestra di dialogo con il Colle per una «leale dialettica», ribadisce a chiare lettere di non avere alcuna intenzione di inserire la retromarcia, né di mollare e ritirarsi a vita privata. «Non darò le dimissioni - attacca - sono il miglior premier di sempre e non c’è nessuno a cui mi senta inferiore». Ringrazia quindi gli italiani «per il sostegno» che gli «continuano a dare», consapevole che in una «democrazia c’è un solo sovrano: il popolo». Da cui arriva un «sostegno vastissimo» al governo, motivo per cui «non sembra utile che gli elettori che ci sostengono scendano in piazza». Noi «siamo la maggioranza, abbiamo il 68,7% del consenso e governeremo cinque anni, difendendoci in primo luogo con le politiche del fare», anche se «l’esecutivo ha contro una sinistra che si affida ad una minoranza organizzatissima di magistrati rossi, soprattutto al tribunale di Milano, che usano la giustizia a fini di lotta politica, tentando di sovvertire il voto».
Si affronta così il capitolo tribunali: «Sono stato sempre assolto - visto che la prescrizione non è una condanna - e i processi di Milano sono autentiche farse», sottolinea l’inquilino di Palazzo Chigi. In assoluto «il maggior perseguitato dalla magistratura di tutta la storia di tutte le epoche del mondo», rimarca con foga, tanto da incappare in un lapsus: «Ho speso 200 milioni di euro per consulenti e giudici... Scusate, per gli avvocati». Ma è un attimo. «Andrò in tv e spiegherò come vanno le cose - riprende - e non vedo altro inconveniente per me, il Paese e il governo, se non quello di sottrarre tempo per i processi». Brucia ancora, intanto, quell’avviso di garanzia anticipato nel ’94 dal Corriere della Sera, che causò la «caduta» del suo «primo governo». Tanto che il Cavaliere sente la «mancanza» del vecchio giornale «della buona borghesia», diventato «un foglio di sinistra».
E allora, premesso che «non ci sono cose nuove», in merito ai rapporti con il capo dello Stato, Berlusconi ci tiene a «sgombrare il campo dalle troppe ipocrisie», perché «la coabitazione tra due parti politiche non è mai facile». Ed è proprio questo uno dei punti chiave del ragionamento. Nonostante sia «convinto» che in futuro sia «possibile una leale dialettica, tra Quirinale ed esecutivo» - certo che «non ci sarà nessun ostacolo al programma di riforme per cambiare il Paese» - in ogni caso, sottolinea, «io sono di destra, lui è di sinistra». «È così» e «non credo che per questo Giorgio Napolitano si offenda». È un dato di fatto: lui «è sempre stato un protagonista» di quella parte politica e «nulla può cambiare la sua storia».
Dal Quirinale alla Consulta il passo è breve, e non solo perché i due palazzi siano fisicamente dirimpettai. «Sul Lodo Alfano non mi ero mai fatto illusioni e non avevo mai creduto che passasse al vaglio di questa Corte costituzionale», afferma il premier, che rinforza così il concetto: «Mi erano state date delle rassicurazioni, ma non ho mai immaginato che una Consulta composta, come sappiamo, da 11 magistrati messi lì da tre presidenti della Repubblica consecutivamente di sinistra, potesse approvare» lo scudo legale. Insomma, «era impossibile, perché si tratta di un organismo politico che emette sentenze politiche, quindi di parte». Come dire, «un comportamento non leale nei confronti del Parlamento», mentre «io credo che la lealtà sia importante nei rapporti tra le istituzioni».
Si rimane in tema di giustizia e il Cavaliere spiega: «Ci stiamo inoltrando verso la riforma del processo penale», con «l’obiettivo di abbreviare i tempi». Si passa poi al via libera definitivo del Cdm alla riforma Brunetta della Pubblica amministrazione: «Una rivoluzione e una grande spinta per la modernità del Paese». Si volta pagina con la lotta alla mafia, su cui il governo, assicura Berlusconi, è di continuo impegnato «per debellare una patologia del nostro Paese».
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