Roma Un giudizio severo sulla manifestazione di piazza al femminile e sul suo carattere tutt’altro che trasversale. Una secca replica a Gianfranco Fini sulla proposta di dimissioni congiunte. Ma anche la convinzione, dettata a chiare lettere, che lo scioglimento delle Camere non sia affatto nei pensieri del presidente Napolitano.
Silvio Berlusconi interviene a «Mattino Cinque» e dice la sua sulla manifestazione di domenica contro il governo, definendo una «vergogna» il teorema di genere costruito per attaccarlo. «Si tratta di un pretesto per sostenere l’attacco giudiziario che non ha nessun riscontro nella realtà: una mobilitazione di parte, faziosa, contro la mia persona da parte di una sinistra che cavalca qualsiasi mezzo per abbattermi». Anche perché, continua, «tutte le donne che hanno avuto modo di conoscermi sanno quanta sia alta la considerazione che ho per loro e sanno che mi sono sempre comportato con grande attenzione e rispetto. Sia nelle mie aziende che nel mio governo ho sempre valorizzato le donne al massimo». Per il premier è qualcun altro che ha offeso l’onorabilità delle donne. «La procura di Milano e i media hanno calpestato la dignità delle mie ospiti, esponendole al pubblico ludibrio senza alcuna ragione e senza alcun riguardo. È davvero una vergogna, una grande vergogna».
Esaurito il giudizio sulla manifestazione, il premier si sofferma sulle prospettive di tenuta dell’esecutivo escludendo che il capo dello Stato possa adottare misure clamorose come lo scioglimento delle Camere. «Per le elezioni serve il parere del premier. Non credo assolutamente che lo scioglimento delle Camere sia nei pensieri del presidente Napolitano. Tra l’altro, nell’ultimo colloquio avuto con lui al Quirinale mi ha garantito che finché c’è una maggioranza politica non esistono motivi per sciogliere il Parlamento. La Costituzione, comunque, prevede che, per interrompere anticipatamente una legislatura, il presidente consulti sia i presidenti delle Camere sia il presidente del Consiglio, cioè Silvio Berlusconi. Quando nel ’94 sciolse le Camere senza una crisi formale ebbe l’assenso del premier di allora, Ciampi, il quale acconsentì. Il governo oggi è invece nella pienezza delle sue funzioni, ha ottenuto due voti di maggioranza il 29 settembre e il 14 dicembre, altri sei voti parlamentari li ha ottenuti con il voto positivo sulle grandi riforme come quella dell’università e sulle sfiducie individuali sui ministri Calderoli e Bondi che sono state respinte».
Berlusconi viene anche sollecitato sulla proposta Fini di dimissioni congiunte del premier e del presidente della Camera. «È una richiesta irricevibile, io non ho tradito il mandato degli elettori, non ho sabotato il governo e le riforme e non ho usato la mia veste istituzionale per ordire complotti e ribaltoni. Non si era mai visto nella storia repubblicana un presidente della Camera prima fondare un partito e poi trasformare la terza carica dello Stato in una fazione politica. Bisogna valutare se il ruolo di Fini sia compatibile con quello di presidente super partes previsto dalla Costituzione». Al numero uno di Montecitorio, Berlusconi imputa anche l’azione di blocco esercitata sulla riforma della giustizia. «È stato sempre Fini a sbarrare la strada a questa fondamentale riforma. Mi si dice che Fini avesse garantito l’Anm che finché la sua componente fosse rimasta nella maggioranza nessuna riforma della giustizia a loro sgradita sarebbe stata portata a termine. Ora, con l’uscita di Fini, le cose sono cambiate e abbiamo già ripreso l’iter della legge sulle intercettazioni che è una legge di civiltà. Queste conversazioni private che, non avendo alcuna rilevanza penale, arrivano sui giornali, sono qualcosa che deve assolutamente finire. Quante persone innocenti sono state distrutte moralmente e materialmente da questo infernale circuito mediatico e giudiziario senza che nessuno magistrato di quelli che passano le intercettazioni alla stampa sia stato chiamato a rispondere? Un Paese nel quale non si è sicuri della inviolabilità delle proprie conversazioni non è un Paese libero».
Naturalmente per realizzare le riforme è necessario contare su una maggioranza solida. Un traguardo che il premier vede sempre più vicino. Berlusconi garantisce infatti che presto la maggioranza potrà raggiungere «quota 325».
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