Il premier festeggia il Primo Maggio, sinistra spiazzata

RomaE dopo il 25 aprile venne il primo maggio. Così, prive delle sontuose «A» e «M»: in minuscolo, senza più la retorica ideologica che ne ha fatto delle date sacre; senza più l’enfasi dottrinale che le ha trasformate in feste monocolori.
In principio fu Onna e quell’appello-boomerang di calenDario: Franceschini invita il premier in Abruzzo, lo sfida a duello, e il premier ci va. Non solo: di fatto gli ruba la scena. I due si danno la staffetta tra le macerie abruzzesi; soltanto che il leader del Pd poi corre a farsi un bel bagno di folla nelle acque sacre della pomposità resistenziale di Milano. Berlusconi invece si riappropria della verità storica: la Liberazione è festa di tutti, non di una parte. Nessuna equiparazione tra repubblichini e partigiani ma stessa pietà per i caduti, anche quelli che morirono dalla parte sbagliata. E con il fazzoletto al collo della brigata Majella e gli stessi concetti espressi dal capo dello Stato Napolitano, il Cavaliere in un colpo solo spazza via mezzo secolo di ostracismo. Festa della libertà, non comunista. Festa degli italiani, non di partito. Festa di tutti, non di uno solo. E accanto al rosso ricompaiono il verde e il bianco della bandiera italiana. Crollato il totem ideologico, qualcuno a sinistra persino applaude. Qualcun altro storce il naso.
Vabbé, in fondo tra cinque giorni c’è la festa nostra e solo nostra: rossa, con Rossi (Vasco). Eppure va a finire che anche l’altra ricorrenza perde la tradizionale santità gauchista. Forse regge l’inganno che sia un gala comunista quando invece è una ricorrenza a stelle strisce visto che ricorda una legge dell’Illinois del 1866 che limitava a otto ore la giornata lavorativa; regge meno che il Primo Maggio possano sfilare solo sindacalisti e tifosi del Che. Sebbene il Manifesto inneggi al «Maggio libero» ed esulti per «un giorno senza Berlusconi», va a finire che il premier spiazzi tutti ancora una volta. Si fa vedere, il Cavaliere. Si fa vedere eccome. Non all’orgia di decibel del concertone tutto falci e martello e Cgil ma al profluvio di note del concertissimo di Riccardo Muti, tornato a dirigere i Berliner Philharmoniker al teatro San Carlo di Napoli.
«Do a questa festa un significato che va nella direzione della speranza e dell’auspicio che non ci siano più persone che perdano il posto di lavoro - spiega il presidente del Consiglio - e che tutti possano avere la possibilità di realizzarsi con il lavoro che a loro piace, più adatto al proprio talento e alle proprie capacità». CalenDario Franceschini, invece, con veltroniana camicia botton down e golfino sulle spalle, da sotto il palco di San Giovanni si limita ad ammettere: «Se sono venuto per Vasco Rossi? Be’, certo». E nell’attesa che il Blasco parta con il suo capolavoro «Un senso», Berlusconi è già in pista alla volta dell’Aquila: testimone indiretto di un altro abbaglio, questa volta sindacale.
I tre leader di Cgil, Cisl e Uil sfilano insieme tra i terremotati d’Abruzzo. Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti sono compatti nel chiedere il rilancio delle zone stravolte dal sisma. Ma restano divisi come non mai dopo lo strappo causato dalla firma separata dell’intesa sulla riforma dei contratti.

Una pace armata, un’unione fasulla mentre il premier preferisce andare sul pratico: «È già partita la macchina per la costruzione di case per 13mila persone. Le ultimeremo prima dell’arrivo del freddo. Cioè entro ottobre».

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