Il premier: pronto a riprendere il dialogo con Casini

Nell’intervista che uscirà nell’ultimo libro di Vespa, Berlusconi conferma i contatti in corso da tempo con il leader Udc: "Non credo alla nascita di un partito centrista autonomo". La mediazione con Tremonti: sì al rigore, no a misure impopolari

Il premier: pronto a riprendere il dialogo con Casini

Roma - Sottotraccia la trattativa va avanti da settimane, con un lento lavorio da parte degli ambasciatori. Gianni Letta, come al solito, ma per l’occasione anche Angelino Alfano e Fabrizio Cicchitto che con Pier Ferdinando Casini hanno sempre conservato un ottimo rapporto, non solo politico ma pure personale. E al di là delle smentite del caso - decisa quella del leader dell’Udc di qualche giorno fa - i contatti sono stati serrati e approfonditi, tanto da ragionare concretamente su un percorso di «rientro» dei centristi nel centrodestra. Sul punto, però, né Casini né Silvio Berlusconi avevano mai detto una parola, l’uno in attesa di vedere ciò che avrebbe fatto l’altro. Almeno fino a ieri, quando il Cavaliere si è detto «pronto a riprendere il dialogo».

Una mano tesa, dunque. Forse per cercare di aprire la strada al recupero dell’ex alleato. Che certo non avverrebbe da un giorno all’altro, ma costituirebbe comunque una garanzia di tranquillità per la maggioranza in vista di eventuali scossoni dovuti alla crisi economica. Un avvicinamento che passerebbe per alcuni voti parlamentari nei quali l’Udc potrebbe fare da sponda al centrodestra. E che potrebbe incrociare la nomina del successore di Claudio Scajola allo Sviluppo economico, dove nonostante Paolo Romani resti in pole position il Cavaliere è ancora alla ricerca di un tecnico (magari gradito a Casini). In questo modo il leader dell’Udc - più che mai deluso dalla deriva del Pd - metterebbe le basi per potersi presentare alle prossime politiche nuovamente con il centrodestra, magari già portando a casa il candidato sindaco di Bologna alle amministrative del prossimo anno. Berlusconi, invece, si troverebbe con una maggioranza allargata. Sotto il profilo dei numeri, certo, per far fronte in tranquillità a eventuali scherzi della pattuglia finiana. Ma soprattutto dal punto di vista dell’appoggio di alcuni ambienti finora non particolarmente sensibili.

Così, nella domenica passata ad Arcore a mediare con Giulio Tremonti sulla manovra («sì al rigore ma niente misure impopolari», è la linea di Berlusconi), arriva l’immancabile anticipazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa. «Non credo - spiega il Cavaliere - alla nascita di un autonomo partito centrista che, leggo sui giornali, metterebbe insieme Fini, Casini e Rutelli. L’elettorato di Casini è composto da moderati. La sua collocazione fisiologica è nel centrodestra e ogni posizionamento diverso è del tutto innaturale». Insomma, «quello che è indubitabile è l’incompatibilità degli elettori dell’Udc con la sinistra e la nostra comune condivisione dei valori e dei programmi del Ppe. Su questa obiettiva convergenza, che in Parlamento si è più volte manifestata con un atteggiamento responsabile da parte dell’Udc su questioni importanti, può riprendere in qualsiasi momento un dialogo per il bene dell’Italia».

Il premier, poi, ricorda come «prima che si decidessero le alleanze per le elezioni regionali» abbia «rivolto a Casini l’invito a tornare» nel centrodestra. «Per tutta risposta - dice - ci siamo trovati di fronte ancora una volta alla politica dei tre forni. L’Udc si è alleato con la sinistra in alcune regioni, con noi in altre e si è presentata da sola in altre ancora. I risultati parlano chiaro: con noi in Campania, in Calabria e nel Lazio ha avuto buoni risultati e ha vinto. Dove si è schierata con la sinistra ha perso metà dei suoi elettori in Piemonte e un terzo in Liguria». Insomma, «a conti fatti per Casini è stata una sconfitta» e «se vorrà rivedere la sua linea e stare alla larga da avventure quali il patto repubblicano di Bersani, potremo riparlarne».

Senza che vi siano problemi con Bossi, è la convinzione di Berlusconi. Perché, dice, «è un alleato solido e leale del Pdl» e «che Dio ce lo conservi».

Ma soprattutto perché anche il Senatùr ha tutto l’interesse a rafforzare un governo che nei prossimi tre anni è destinato a dare il via libera ai decreti delegati del federalismo fiscale che, altrimenti, resterebbe lettera morta.

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