Roma - La ricetta di Monti per abbassare le tasse? La tassa Tobin. Lo dice in mattinata a palazzo Madama in un clima infuocato, dove i senatori del Carroccio lo sbeffeggiano dipingendolo come uomo delle imposte. Il premier, con l’atteggiamento del professore indispettito davanti a una classe di alunni indisciplinati, fatica a portare a termine la relazione sull’esito dell’ultimo vertice dei capi di Stato e di governo della Ue. In un passaggio del suo discorso, irritato dai cartelli leghisti, annuncia: «Mi richiamo al monito che, in modo colorito, ho sentito e letto in aula: meno tasse. “Basta tasse” sarà impossibile ma un modo per arrivare a “meno tasse” su famiglie e su chi produce è anche quello di avere una fiscalità estesa anche al mondo della finanza e della grande finanza, sulle grandi operazioni finanziarie». Ancora più chiaro: «Colgo l’occasione per dire che in sede europea, dopo un’attenta valutazione, abbiamo segnalato che l’Italia è pronta a considerare questa posizione e ad unirsi a quelli che vorrebbero la Tobin tax».
La tassa prende il nome del premio Nobel per l’economia James Tobin che la propose nel 1972 ed è un’imposta che prevede di colpire le transazioni sui mercati valutari. La ratio della misura sarebbe quella di penalizzare le speculazioni finanziarie a breve termine e di raccogliere fondi da destinare alla comunità internazionale. L’uscita di Monti non è una gran sorpresa anche perché Tobin è stato l’antico maestro del premier quando quest’ultimo studiava a Yale. L’idea di Tobin è tornata in auge soprattutto per la spinta del presidente francese Nicolas Sarkozy e della cancelliera di ferro Angela Merkel. Il governo Berlusconi l’ha invece sempre considerata poco praticabile, sottolineando uno dei punti più deboli dell’imposta: la Tobin tax sarebbe possibile, in termini generali, soltanto se applicata globalmente. Qualora non fosse così, i capitali fuggirebbero tutti nelle piazze dove l’aliquota non c’è.
Ma col nuovo corso montiano sul tema si vira. Peccato che l’unanimità internazionale sulla misura non ci sarà mai, neppure a livello europeo. Anzi, la Gran Bretagna continua a vedere la tassa come fumo negli occhi tanto che la ribattezzata «Robin Hood Tax» per il ministro del Tesoro inglese George Osborne «sarebbe come un proiettile sparato alla testa della City» e «il business della finanza si trasferirebbe verso America e Asia». Stesso concetto sostenute dalle banche tedesche e irlandesi e di recente perfino dall’ex presidente della Bce Jean Claude Trichet. Insomma, l’idea resta difficilmente praticabile.
Per il resto Monti cerca di fare il punto su quanto stabilito al Consiglio Ue, difendendo la propria posizione su Fondo salva Stati, eurobonds e governance dell’Unione. Ma poi ammette: «Per i farewall (ossia i sistemi di protezione per evitare il contagio dei Paesi deboli, ndr) il risultato non è stato all’altezza delle nostre aspettative». E ancora: «L’ultimo consiglio è stato dedicato alla crisi. Ma il rischio è dimenticarsi della crescita». Che con più tasse, però, si aggrava.
Intanto il premier preme sull’acceleratore della manovra ponendo oggi la fiducia al maximendamento. Ma superato lo scoglio manovra già all’orizzonte s’intravvedono le prossime battaglie: quella, delicatissima, sul mercato del lavoro in primis.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.