Premio Nonino, la rivincita di Penelope

Giovanna Marini, Harumi Setouchi, le madri della Plaza de Mayo: insieme a Gavino Ledda, si impongono le donne

nostro inviato a Percoto (Udine)

«L’uomo è la testa, ma la donna è il collo che la muove». Ricorre a un antico proverbio cinese, Ermanno Olmi, presidente della giuria del Premio Nonino, giunto ieri alla sua trentunesima edizione, per spiegare l’autentica invasione femminile tra i premiati di quest’anno. Perché se il Risit d’Aur è andato a un uomo, lo scrittore sardo Gavino Ledda, trent’anni dopo l'uscita del suo Padre padrone, tutti gli altri tre riconoscimenti sono finiti sotto l’altra metà del cielo. E per la precisione, il Nonino 2006 alla cantautrice popolare Giovanna Marini; il Premio internazionale alla scrittrice e monaca buddista giapponese Harumi Setouchi; mentre quello dedicato «a un maestro del nostro tempo» ha unito in un abbraccio collettivo tutte le madri argentine di Plaza de Mayo per la loro trentennale sfida contro la protervia del potere.
Olmi, che riesce sempre ad affascinarti anche senza macchina da presa, parlando come sa fare soltanto lui, con le sue mani sofferte e con i suoi occhi bambini prima che con la voce, nega però che questa prevalenza di premi alle donne corrisponda a «una strategia femminista» della giuria. La spiega invece come il doveroso riconoscimento a tutte le «lei» delle nostre vite. «Perché mentre il maschio è lontano da Itaca, in giro per il mondo in cerca di avventure, chi regge il porto sicuro, il luogo patrio, è sempre la donna - spiega - tanto è vero che gli uomini, alla fine, hanno sempre bisogno di tornare a casa». Così, dice il regista, si spiega il premio alla straordinaria esistenza di Harumi Setouchi, ottantatreenne dal volto senza età che dopo essere stata geisha, si è fatta monaca con il nome di Jakucho - ovvero «colei che ascolta la quiete» - per seguire l'indicazione francescana del Budda di «dimenticare se stessi per giovare agli altri». Lei, motiva Olmi, «è la sublimazione della femminilità», così come il canto della Marini è «il sussurro delle generazioni», mentre il coraggio delle madri dei desaparecidos argentini, le loche, come venivano chiamate per il loro frenetico muoversi su e giù per quella Plaza de Mayo dove i colonnelli avevano posto l’ottuso quanto inutile divieto di fermarsi per impedire le proteste, è quello «della Penelope che batte qualsiasi arroganza».
E così dicendo, il regista bergamasco finisce col dare anche una motivazione squisitamente friulana a un Nonino declinato al femminile. Lo fa inconsapevolmente - «questa non la conoscevo», ammette - perché uno dei più antichi detti di questa terra recita che «une femine la ten su tre cjantons di une cjase». Ovvero che una donna, da sola, sorregge tre angoli di una casa.

E qui, in quella che è stata a lungo la Piccola Patria lontana di generazioni di emigranti, di mille e mille Ulisse in giro per il mondo, questa è memoria storica. Ma ci volevano i Nonino a ricordarci di dire un sonoro e corale «Grazie Penelope!».

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