La prescrizione salva l’imam di viale Jenner

La prescrizione salva l’imam di viale Jenner

«Uno dei personaggi di spicco dell’organizzazione». Ancora, era «coinvolto direttamente nelle attività di falsificazione, finanziamento all’estero, contatti con i gruppi esteri e smistamento dei combattenti». Infine, «la sua partecipazione all’organizzazione è incontestabimente dimostrata». Eppure, «il reato risulta estinto per prescrizione». Così scrivono i giudici dell’ottava sezione penale. Abu Imad, l’imam di viale Jenner, esce di scena dal processo in cui è imputato con altri 34 islamici, accusati di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale. L’udienza si chiude con la condanna di tre imputati a pene dai 4 anni e sei mesi ai 6 anni. L’accusa, a vario titolo, è di associazione per delinquere con finalità di terrorismo, rapina, falsificazione di documenti e altri reati minori.
Secondo l’accusa, il gruppo - dagli inizi degli anni ’90 - aveva svolto il ruolo di snodo logistico per l’invio in Bosnia, durante la guerra, di mujaheddin provenienti da vari Paesi del Medio Oriente e di aver compiuto propaganda jihadista attraverso la creazione di una struttura segreta aderente alle organizzazioni fondamentaliste arabe. E, secondo gli stessi giudici, proprio Abu Imad era «uno dei personaggi di spicco dell’organizzazione», «braccio destro dell’Imam Anwar (ricercato in Egitto come estremista politico, in ragione dei suoi legami con le organizzazioni Jihad o Jamah islamiha, ndr), nonché «attualmente incaricato del medesimo ruolo».
Secondo il tribunale, dunque, l’imam di viale Jenner risulta «coinvolto direttamente nelle attività di falsificazione, finanziamento all’estero, contatti con i gruppi esteri (in particolare l’Austria) e smistamento dei combattenti». «Appare particolarmente significativo in questo quadro - proseguono i giudici - il fax con cui lo si avvertiva della visita di un funzionario dei servizi di sicurezza egiziani, in Austria, per chiedere la collaborazione di quel governo nelle indagini sui gruppi terroristi». «In una intercettazione risulta direttamente coinvolto nella contraffazione dei propri documenti», mentre in un’altra telefonata ascoltata dagli investigatori «l’imputato invitava l’interlocutore a non parlare», sapendo che «la linea era intercettata».
Un quadro probatorio apparentemente inattaccabile. «La partecipazione di Abu Imad all’organizzazione - si legge ancora nelle motivazioni della sentenza - è incontestabilmente dimostrata dalle prove esposte e in particolare dalle dichiarazioni dei testimoni principali e dalle intercettazioni a cui si rimanda». Non un semplice membro del gruppo. «Indubbiamente - concludono i giudici - si tratta di uno degli organizzatori del gruppo». Un presunto terrorista. Perché per il Tribunale le prove contro l’imam erano fondate, quantomeno per quanto riguarda l’attività di falsificazione, finanziamento all’estero, contatti con i gruppi esteri e per lo smistamento dei combattenti. Eppure, Abu Imad viene salvato dalla prescrizione.


Ed era stato lo stesso pubblico ministero Elio Ramondini, nelle scorse udienze, a chiedere 27 assoluzioni e otto prescrizioni. «Una scelta obbligata», aveva spiegato il pm. Concludendo la requisistoria con un duro attacco alla legge «ex Cirielli», che aveva ridotto i termini di prescrizione dei reati.

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