Lo prese come un Benito e ne fece il "Dux"

Nella biografia di Roberto Festorazzi la figura di Margherita Sarfatti è tratteggiata come una donna con l'animo da leader

Lo prese come un Benito e ne fece il "Dux"

Margherita Sarfatti. La donna che inventò Mussolini è il titolo del libro (Colla editore, pagg. 430, euro 22) che Roberto Festorazzi ha dedicato all’amante ebrea del Duce: anzi Dux nella biografia celebrativa e ammirativa che proprio la Sarfatti scrisse. In realtà l’ebraismo di Margherita era stato cancellato, quando la sua relazione con l’Insonne era nella fase più intensa, da un’opportuna conversione al cattolicesimo.

Tra le conquiste femminili che Mussolini faceva privilegiando la quantità piuttosto che la qualità, quella della Sarfatti ebbe caratteristiche particolari. Fu, anzitutto, un incontro alla pari. La Sarfatti, di ricca famiglia veneziana, spregiudicata, femminista ante litteram, ambiziosa, molto intelligente, ben introdotta negli ambienti della cultura e del giornalismo, non era né una casalinga come donna Rachele, né un’esaltata come la trentina Ida Dalser, né un’innamorata adorante come fu poi Claretta Petacci. Di tre anni maggiore di Mussolini, aveva con il marito, l’avvocato Cesare Sarfatti, un rapporto coniugale molto aperto e disinvolto (appassionato fu un breve amore di lei per Umberto Boccioni). Il suo salotto (a Milano o a Roma o nella Villa del Soldo, vicino a Como, che ebbe fino alla morte come buen retiro) fu sempre frequentato dall’intellighenzia. La sua ideologia giovanile era stata socialista, e infatti aveva conosciuto Mussolini collaborando, come critica d’arte, all’Avanti! da lui diretto. Un lutto tremendo segnò la sua esistenza nel 1917. Morì al fronte - ed ebbe la medaglia d’oro alla memoria - il figlio diciassettenne Roberto, arruolatosi volontario negli alpini.

La Sarfatti era - lo attestano le fotografie - d’una bellezza non comune. Aveva capelli ramati e occhi verdi. Si lasciò sedurre dal grande amatore che tuttavia, al loro primo incontro, fece cilecca. E volle anni dopo spiegare le ragioni di quel fallimento alla Petacci dicendo che «il corpo di quell’ebrea ha esercitato su di me un effetto repellente». Era nel frattempo diventato antisemita, e si adeguava alla svolta anche nei ricordi erotici. Festorazzi dedica una lunga digressione all’ipotesi, da lui ritenuta verosimile, che un Mussolini venticinquenne avesse contratto a Oneglia la sifilide e che la malattia avesse determinato una degenerazione caratteriale e fatali errori di valutazione. Al riguardo sono piuttosto scettico.

Con il fascismo imperante Margherita Sarfatti fu per qualche anno se non proprio una dittatrice di cultura senz’altro un’autorevole e ascoltata ispiratrice. Nel privato del rapporto con il Duce era d’un romanticismo quasi delirante: «Sono, mi proclamo, mi glorio di essere appassionatamente, interamente, devotamente, perdutamente Tua»... E in un momento di ruggine: «Sono stanca di amarti, stanca che tu faccia del mio amore un tappeto per calpestarlo». Baruffe d’innamorati. La gran dama veneziana sgrezzò l’uomo selvatico e con Dux lo issò su un piedestallo di genialità e di potenza.

Nel 1930, dopo diciotto anni - e Margherita ne aveva cinquanta - la passione si era ormai spenta. Annota Festorazzi: «Nel gennaio 1931 Mussolini promise alla moglie che avrebbe troncato la relazione con la Sarfatti e che l’avrebbe allontanata dal Popolo d’Italia. Insieme Benito e Rachele bruciarono nel camino di Villa Torlonia un enorme pacco di lettere di Margherita». Alle cerimonie per il decennale della Marcia su Roma l’ex ninfa Egeria del regime non fu nemmeno invitata. Fu invece emarginata e tenuta d’occhio, mai veramente perseguitata. Avveduta com’era, pensò bene di trasferirsi all’estero quando vennero promulgate le leggi razziali. Prima a Parigi, poi in Sudamerica. Lontana dall’Italia, abbozzò un testo, una sorta di «anti-Dux», che fu in parte pubblicato a puntate a Buenos Aires con il titolo Mussolini como lo conocí (Mussolini come l’ho conosciuto), e che ebbe successivamente altri titoli (Mea culpa, Mon erreur, My fault). Ma restò inedita la parte più autocritica di quelle memorie, una sorta di rettifica delle precedenti esaltazioni. La Sarfatti si chiedeva se fosse stato giusto incoraggiare Mussolini nella sua bramosia di potere.

Ma la ex favorita era ormai nella fase d’un tramonto tutto sommato tranquillo. Tornò in Italia. Negli anni Cinquanta trascorse periodi anche lunghi a Roma come cronista, per il Corriere, del «caso Montesi» e del «caso Fenaroli».

Alloggiavo all’hotel Ambasciatori in via Veneto. Lì mi capitava d’incontrare un’anziana greve signora che vi risiedeva. Era Margherita Sarfatti. Che tuttavia continuava a trascorrere mesi e mesi nel suo rifugio prediletto, il Soldo. Lì si spense il 10 ottobre 1961.

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