
Si dice che il mercato del lusso sia in crisi. Non per mancanza di acquirenti, ma per un eccesso di immagine: troppa costruzione, poca sostanza. Inseguendo il marketing, alcuni grandi brand avrebbero smarrito ciò che li rendeva unici: qualità ed esclusività. È un segnale interessante, perché racconta qualcosa che riguarda anche il nostro mondo, quello dei servizi.
Da anni si celebra il mito dell'innovazione come valore assoluto. Si presentano modelli di business patinati, soluzioni a portata di app, promesse di efficienza che sembrano uscite da un mondo perfetto. Ma poi arriva il momento in cui il cliente - o meglio, la persona - si scontra con la realtà: l'auto che non arriva, l'assenza di tutele, il servizio che si regge solo finché conviene a chi lo offre.
Nel nostro lavoro, la differenza è fatta dalla sostanza: un tassista c'è. C'è davvero. Sa dove portarti, conosce le strade, ma soprattutto si assume una responsabilità. Ogni giorno. In ogni corsa.
Non c'è marketing che possa simulare la fiducia. Non esiste algoritmo che restituisca la sicurezza di un volto riconoscibile, di una voce vera, di un servizio che non cambia in base al profitto ma risponde a una regola, a un'etica, a un territorio.
Forse è il momento di riscoprire il valore delle cose reali.
Di chi c'è, senza clamore. Di chi non si racconta come indispensabile, ma lo diventa ogni giorno nel silenzio delle partenze all'alba, dei ritorni notturni, delle presenze che non fanno notizia.Anche questo, a suo modo, è un lusso. Quello vero.
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