Presi i killer di Fortugno, caccia ai mandanti

Salvatore Ritorto è accusato di essere l’autore materiale dell’esecuzione. Si indaga sulla pista politico-mafiosa. Il procuratore Grasso: «È un punto di partenza»

Gian Marco Chiocci

nostro inviato a Reggio Calabria

Si conoscono gli assassini di Francesco Fortugno, non i mandanti. Si sa che il killer è diventato ricco dopo aver ammazzato l'esponente della Margherita, ma nessuno ha idea di chi l'abbia pagato tanto. Il pentito di turno dimostra di sapere tutto dell'omicidio del 16 ottobre 2005, niente di chi l'ha commissionato. Lo stesso pentito rivela che il gruppo di fuoco della cosca Cordì ha svolto pedinamenti per un mese ma li ha interrotti dieci giorni prima del delitto sapendo ciò che in pochi sapevano, e cioè che Fortugno era volato dal 4 all'11 ottobre negli Stati Uniti, che era transitato per Roma ed era rientrato a Locri solo il giorno prima dell'agguato. E soprattutto non si è ancora capito se la scelta del luogo del delitto (il seggio delle primarie dell'Unione) sia un dettaglio casuale o un messaggio per addetti ai lavori.
Giustamente ci si congratula per la svolta delle indagini ma negli investigatori è forte l'imbarazzo per aver risposto alle pressioni degli ultimi tempi chiudendo solo il filone «militare» di un omicidio di mafia che guarda molto più lontano, in un contesto politico ben definito legato al business della sanità, alle nomine degli assessori, agli appalti elargite a ditte sgradite alle cosche, alle convenzione con laboratori privati, ai lavori di ristrutturazione dell'ospedale di Locri. Di tutto ciò non c'è traccia nel documento giudiziario di sintesi all'eccellente lavoro dei poliziotti dello Sco che hanno trovato i riscontri alle confessioni del pentito Bruno Piccolo chiudendo il cerchio sulla paranza criminale a cominciare dall'autore materiale del delitto, il 27enne disoccupato Salvatore Ritorto. Cinque mesi di indagini, «un punto di partenza più che di arrivo» ha precisato il procuratore antimafia, Piero Grasso. Che al pari del procuratore capo locale, Antonino Catanese, non conferma e non smentisce l'indicazione di polizia e di intelligence di una ben precisa pista politico-mafiosa per l'appalto dell'agguato, indicazione che secondo i maligni dovrebbe vedere la luce solo dopo le elezioni per non prestarsi a strumentalizzazioni nel voto d'aprile.
Nel frattempo i magistrati escludono che vi siano assessori indagati o ai quali è stato ritirato il passaporto. Per il momento ci si deve accontentare, comunque, di un grande risultato riconosciuto all'unanimità, dal ministro Pisanu fino a Violante. Dei nove arrestati, oltre a Ritorto ma non al capofamiglia dei Cordì, in tre ricoprirebbero un ruolo nel delitto consumato nell'androne di Palazzo Nieddu del Re a Locri: si tratta del tuttofare Carmelo Dessì, di Domenico Audino, autista dell'auto usata dal killer, e soprattutto di Domenico Novella, leader dei picciotti di Locri che in una telefonata con Audino si congratula, rabbrividendo, per l'esecuzione di Ritorto: «Nemmeno ai cani… cazzo come gli ha sparato!». Un omicidio efferato. Troppo ben organizzato nonostante il commando avesse sospeso da oltre un mese appostamenti e pedinamenti.

Se c'è una «talpa» questa ha certamente interessi nel comparto della sanità, e forse nei lucrosi affari dell'ospedale di Locri, dove Fortugno era primario, e dove la vedova, Maria Grazia Laganà, prima d'esser candidata con la Margherita, era direttore sanitario.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

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