Il Presidente avverte: non si va alle urne senza riforma del voto

Anche se il premier cadesse, Napolitano vorrebbe prima tentare altre strade per non troncare la legislatura

da Roma

Colloquio lungo, «cordiale», anche «intenso»: un’ora e mezzo fitta fitta, in un «clima di reciproco rispetto», con pochi fronzoli e molta sostanza. Seduti nel salottino presidenziale, i leader del centrodestra bevono il tè freddo offerto da Giorgio Napolitano, incassano i sorrisi e la «dovuta attenzione» del capo dello Stato, poi però vanno subito al punto: bisogna fare qualcosa, dicono, perché questo governo è «in crisi di legittimità» e non ha più dietro di sé la maggioranza degli italiani. «Le elezioni - sostiene Silvio Berlusconi - sarebbero la via maestra, ma solo dopo la caduta dell’esecutivo». Napolitano ascolta, dà un’occhiata ai sondaggi che il Cavaliere gli mostra, apprezza i toni pacati di Berlusconi e soci, spiega perché non è potuto intervenire sul caso Visco-Gdf, si compiace per il richiamo esplicito al «rispetto delle prerogative» del capo dello Stato, addirittura approva qualche passaggio del quadro del Paese che i quattro gli illustrano, condivide persino diverse «preoccupazioni» sul Parlamento che non lavora abbastanza. Ma le elezioni anticipate, quelle no, al momento non sono proprio possibili.
Il primo motivo è lampante: nonostante tutte le sue pecette e le sue turbolenze, Romano Prodi dispone tuttora di una sia pur esigua maggioranza parlamentare e il presidente della Repubblica non può certo licenziare un governo senza che ci sia una crisi formale. Berlusconi è d’accordo, sarebbe un colpo di Stato. Quindi, spiega Napolitano ai suoi interlocutori, «il problema è politico e non istituzionale». Tra l’altro quello di sciogliere le Camere quando la situazione lo richiede è uno dei poteri che la Costituzione assegna al capo dello Stato e Napolitano è davvero molto infastidito dalle pressioni di questi giorni che spingono impropriamente sul pedale elettorale: la Lega, ma pure Massimo D’Alema, che ha detto «se cade Prodi si va dritti al voto».
Ma c’è pure una seconda ragione. Al di là della durata dell’esecutivo del Professore, Napolitano non ha alcuna intenzione di rispedire l’Italia alle urne con questa legge elettorale. Serve, prima, un nuovo sistema capace di garantire le necessarie governabilità e stabilità. Dunque, comunque vada, tempi medio-lunghi. Se Prodi molla, sembra di capire, il Quirinale esplorerà altre strade: governi tecnici, istituzionali, di larghe intese, governissimi o quant’altro sarà in grado di non troncare la legislatura prima di una legge sul voto, di una riforma della giustizia e di un incardinamento dei conti pubblici.
Dunque, elezioni no, ma «ascolto» tanto. Napolitano si dice «consapevole della difficoltà del momento», soprattutto riguardo «i rapporti tra la maggioranza e l’opposizione» nonostante i tanti appelli del Colle ad abbassare i toni. E, facendo in qualche modo sue le lamentele di Berlusconi, Fini, Bossi e Rotondi sulla mortificazione delle Camere, esprime la «profonda preoccupazione» per la lentezza dei processi parlamentari, anche se «la responsabilità è di tutti». L’altro giorno infatti proprio su questo argomento ha convocato Franco Marini e ha telefonato a Fausto Bertinotti, facendo con loro il punto sull’agenda e sollecitando la messa all’ordine del giorno dei provvedimenti sulla giustizia e sulla sicurezza del lavoro. Recentemente ha pure scritto ufficialmente ai due presidenti della Camere caldeggiando il riordino dell’ordinamento giudiziario.
Alla fine si dichiarano tutti soddisfatti. Berlusconi incassa «la preoccupazione del capo dello Stato sulla mancata capacità del Parlamento di produrre leggi», che indirettamente significa la difficoltà di Prodi di governare l’Italia. E Napolitano invece la spunta sui modi con cui l’opposizione può far sentire la sua voce.

Da tempo il presidente invita a non fare troppo ricorso alla piazza e chiede che il confronto, «anche duro e spigoloso» si svolga nel dibattito parlamentare e affronti «le cose da fare». E il Cavaliere gli dà retta. «Manifestazioni? No, non abbiamo dato seguito alle richieste della nostra gente».

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