Roma Cellulari staccati per tutto il giorno. Anzi, deviati in segreteria o al fax. Poi una lunga nota in serata. Un comunicato in cui il democratico Riccardo Villari dice e non dice. Cioè, assicura la propria disponibilità a farsi da parte, ma qualora salti fuori un altro nome su cui convergere. Come dire, trattasi di ipotesi. Che in ogni caso non si concretizzerà oggi, né domani. Per buona pace di chi, Walter Veltroni in testa, annunciava, subito dopo la sua elezione alla presidenza della Vigilanza Rai (grazie ai voti di Pdl e Lega), che si sarebbe dimesso di lì a poco. Anche se Massimo D’Alema esprime ancora fiducia: «Lo farà, non è la quinta colonna» del Pdl.
Intanto, il senatore parla, chiarisce, ma nella sostanza cambia poco o nulla per il Pd, che sembra viaggiare su un binario morto. «Sono consapevole che la mia elezione è avvenuta con una modalità inconsueta», riconosce il medico epatologo, che però ne rivendica la valenza politica: «Adesso intendo svolgere la mia funzione di garanzia, per ricostruire quel dialogo istituzionale tra maggioranza e opposizione, giungendo ad un nome su cui far convergere i propri voti».
In quel caso (solo in quel caso?), «allora sarò ben lieto di formalizzare le mie dimissioni». E se il nuovo candidato non dovesse saltare fuori? Chissà. In ogni caso, Villari prova a mettere i puntini sulle «i»: «Che qualcuno possa mettere in discussione la mia lealtà al Partito democratico, che ho contribuito a fondare e nel quale milito con passione, è sintomo di tempi bui per la bella politica. Ma la lealtà si deve accompagnare, in ogni partito democratico, alla responsabilità, al rispetto del mandato parlamentare e alla piena partecipazione al dibattito e alle scelte». Già. Ed è proprio con questo spirito che Villari - martedì a Palazzo Madama, mercoledì o giovedì a Montecitorio - si presenterà dinanzi a Renato Schifani e Gianfranco Fini. Pronto ad «ascoltare il loro parere sulla difficile situazione che si è venuta a creare». «È evidente - conclude - che è interesse dell’intero Parlamento trovare una soluzione per superare quell’impasse istituzionale per la quale esprimo la più viva preoccupazione».
Insomma, c’è da aspettare ancora. Ed è questa l’unica certezza. Il contrario di quanto auspicato al Nazareno. L’impressione, quindi, è che il senatore napoletano si sia tappato le orecchie. E che chieda rispetto ai colleghi di partito, che pressano per un suo passo indietro. E forse non a caso, nella nota, Villari fa riferimento al «mandato parlamentare», garantito «senza vincoli» dalla Costituzione.
Ma il Pd se la prende. La replica di Giorgio Tonini è emblematica. E descrive appieno l’imbarazzo, il nervosismo che si respira. «Se non intende mantenere l’impegno assunto in una riunione di partito, con i capigruppo e i membri della Vigilanza, per me è fuori dal partito», spara il parlamentare vicino al segretario. «Se vuole restare presidente faccia come Sergio De Gregorio», aggiunge Tonini, riferendosi al cambio di casacca dell’ex Idv, passato con il Pdl. «Se vuole restare nel Pd», sottolinea, Villari «deve rispettare le decisioni prese alla riunione». Se non si dimette lui, ipotizza invece Rosy Bindi, lo facciano i componenti di centrosinistra della Commissione.
A mettere il carico ci pensa Anna Finocchiaro.
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