Preso l’attentatore del vescovo È un fedele che odia la Chiesa

Preso l’attentatore del vescovo È un fedele che odia la Chiesa

«Codice Da vinci», parte seconda. Roba da Dan Brown. Intrighi, misteri, preti, vendicatori e delitti. C’è un po’ di tutto questo nella storia vera cominciata il 4 novembre scorso, quando un misterioso «barbone» sparò nella curia di Firenze. Un colpo al fegato a don Paolo Brogi, poi l’arma puntata alle testa di Giuseppe Betori, Arcivescovo. Erano appena rientrati in auto, passando dal cortile secondario. Forse l’arma si inceppò; forse il mancato killer decise di lasciar perdere perché non c’era più tempo. Il cancello stava richiudendosi, sarebbe rimasto intrappolato. Aveva speso il suo minuto di tempo.
L’altra notte, dopo un mese e mezzo, «l’anziano dall’aria trasandata» ha nome e cognome. Fino a prova contraria resta comunque presunto colpevole.
Si chiama Elso Baschini, 73 anni, originario di Udine, una vita dall’altra parte della legge, rapinatore di professione -dicono in Questura-, la sua arma preferita la 7,65. La stessa che avrebbe usato quel pomeriggio di novembre. Un agguato, però, senza ancora un perché. E che semina su questa storia noir un’aurea dai colori indefiniti. «Odiava la Chiesa» - affermano gli investigatori- eppure Elso risulta residente alla Caritas di Orvieto e domiciliato alla periferia di Firenze, in via dell’Argingrosso. Di certo aveva avuto contatti con ambienti ecclesiali, in particolare con don Danilo Cubattoli, noto sacerdote fiorentino, uno dei tanti «preti degli ultimi», decano dei cappellani delle carceri (l’ultima fu Sollicciano), morto nel 2006. Il vecchio rapinatore da detto, di fronte a magistrati e poliziotti, di essere «suo discepolo». Nel suo appartamento erano «apparecchiati» qua e là santini e lumini, libretti per i canti. Qualcosa che lascia intravedere un’ombra fanatica.
Il fermo è arrivato alle 3 della notte tra venerdì e sabato, dopo un lunghissimo interrogatorio iniziato nel pomeriggio intorno alle 14, negli uffici della Questura fiorentina. Dopo l’identikit reso pubblico su giornali e tv si era tagliato la barba tingendosi i capelli, un rosso castano che lo rendeva persino più appariscente. Ma diverso dall’uomo che cercavano gli investigatori. Manca ancora l’arma utilizzata nell’agguato, anche se squadra Mobile e Digos in uno dei suoi tre telefonini hanno trovato più di una traccia. Come alcune foto scattate all’ingresso dell’arcivescovado risalenti al 14 marzo, 22 settembre e 11 ottobre del 2010. Segno che l’uomo avrebbe compiuto dei sopralluoghi nel posto in cui avrebbe poi colpito. Baschini si sarebbe anche recato alla festa per i 300 anni del Conventino, dove era presente lo stesso monsignor Betori. Nella sua abitazione dell’isolotto, gli inquirenti hanno recuperato anche una scheda telefonica da cui risulta che il 73enne abbia chiamato più di una volta in curia.
Il mistero si infittisce: cosa cercava? Con chi parlava? qual è il movente?
Gli investigatori, coordinati dal procuratore capo Giuseppe Quattrocchi e dal pm Giuseppina Mione, titolare dell’inchiesta, ipotizzano quella di una «vendetta» o di una «rivendicazione» contro la Chiesa.
La polizia ha trovato pure una spatola da muratore sporca di terra, attrezzo che potrebbe essere servito per sotterrare da qualche parte l’arma. Baschini, che viveva con una pensione da 500 euro al mese, cominciò la sua carriera criminale negli anni Sessanta, con una rapina a una filiale della Cassa di Risparmio nella zona di Careggi. Durante il colpo venne esplosa persino una bomba. E sapeva come muoversi: negli anni ’80, evaso dal carcere di Rimini, sparì per quasi un anno. E ha saputo farlo anche dopo aver sparato in Curia.

Sfuggendo alle telecamere, cambiando faccia.
In 12 ore di interrogatorio, si è rifiutato di spiegare il perché del tentato omicidio. Bocca cucita. Come fanno i «professionisti». Ma anche come vi fosse un segreto incofessabile da tacere.

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