RomaNon è facile, al termine dei dodici mesi da incubo trascorsi fra unassemblea e laltra della Confindustria, dire agli imprenditori italiani: dopo la crisi ci sarà un mondo nuovo, «si presenteranno opportunità per i Paesi e le aziende che sapranno coglierle, e noi vogliamo esserci». Emma Marcegaglia lo fa, dimostrando una determinazione non comune. «Le difficoltà non sono finite, e ci attende un lungo cammino per imboccare la via della crescita - dice, rivolta agli imprenditori e ai politici assiepati nellauditorium romano del Parco della Musica -, ma non è tempo di contrapposizioni fra pessimismo e ottimismo. Noi imprenditori vediamo opportunità anche nelle peggiori difficoltà».
Non sono consentiti alibi per battere la crisi. Non alle imprese, non al governo. A Silvio Berlusconi personalmente, la presidentessa degli imprenditori italiani chiede di fare le riforme, e di farle adesso, forte comè di un «consenso straordinario». E il premier si rimbocca le maniche della giacca, come a dire che il messaggio è stato ricevuto. Senza le riforme, spiega la leader degli imprenditori, leconomia italiana tornerebbe ai livelli pre-crisi non prima del 2013, «con conseguenze negative sulla vita dei lavoratori e delle imprese, e sulla stessa coesione sociale». Emma Marcegaglia apprezza quanto il governo ha fatto finora, rivolge parole di elogio per gli interventi sulla scuola, sulla Pubblica amministrazione, sulla giustizia. Ma lItalia resta il Paese con la spesa sociale più squilibrata a causa delle pensioni che assorbono il 16% del Pil: «Lunica via sostenibile per difendere le prestazioni previdenziali è di ritardare il ritiro dal lavoro». E comunque aggiunge che senza maggiore crescita economica, «anche le pensioni basse non potranno essere pagate».
Secondo la Confindustria, la caduta del Pil potrebbe avvicinarsi, nel 2009, al 5%. Più che mai, in questa situazione, il tempo è importante. I cantieri vanno aperti rapidamente, ma bisogna pensare anche ai lavoratori che sono in difficoltà, allungando la durata della cassa integrazione, e alle imprese che vantano crediti dalla Pubblica amministrazione. «I ritardi nei pagamenti si sono allungati - denuncia - e da ora in poi esigiamo il rispetto rigoroso dei termini di pagamento». Alle banche, aggiunge, «chiediamo che ritornino a fare il loro mestiere», sostenendo leconomia. Le imprese sono schiacciate fra la riduzione degli ordini e la difficoltà di incassare i pagamenti, perciò «non bisogna far venir meno lossigeno del credito». Avverte infine: il federalismo fiscale non sia la scusa per aumentare le tasse.
La Marcegaglia guarda anche in casa propria, e chiede agli imprenditori di mettere mano al portafogli «mostrando di essere i primi a credere nei nostri progetti». Osserva poi che la questione delle dimensioni dellimpresa italiana è ormai ineludibile: «Gli imprenditori italiani preferiscono mantenere il controllo aziendale in famiglia, ma comprendiamo che la rinuncia agli apporti esterni di capitale e conoscenze limita la propensione alla crescita». È proprio la «rimonta» della Fiat a dimostrare limportanza dellinnovazione e di un «rapporto armonioso tra proprietà e management». Se la Fiat si affermerà tra i pochi grandi gruppi mondiali sarà un ottimo risultato per tutto il Paese, «e noi - afferma la Marcegaglia - tifiamo perché ciò accada». A giorni, conferma il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, il caso Fiat sarà al centro di un incontro fra governo, azienda e sindacati. Si parlerà della sorte degli stabilimenti italiani del gruppo. Scajola è convinto che i tafferugli registrati a Torino resteranno casi isolati.
Il rapporto con il sindacato viaggia ormai su binari differenti. Con Cisl, Uil e le altre sigle sindacali Confindustria ha condiviso la riforma del modello contrattuale. «La Cgil - dice la Marcegaglia - non ha creduto in questo cambiamento. Siamo andati avanti, perché la modernizzazione del Paese non può arrendersi di fronte ai veti». La presidente di Confindustria auspica un ritorno della Cgil al tavolo dei negoziati «per il bene dei lavoratori». Ma Guglielmo Epifani getta subito acqua gelida su questa prospettiva definendo la relazione «poco coraggiosa e poco attenta alla condizione dei lavoratori».
Il governo condivide lanalisi della Confindustria.
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